Come impatteranno i dazi voluti da Donald Trump sul settore tech? E perché spostare la produzione negli Stati Uniti potrebbe non essere una soluzione praticabile? Dan Ives, responsabile globale della ricerca tecnologica di Wedbush Securities, ha risposto a queste e ad altre domande ai microfoni della CNBC.

Ives esprime una significativa preoccupazione per le potenziali conseguenze negative delle politiche tariffarie sul settore tech statunitense, che potrebbe addirittura arretrare di un decennio. Ives si concentra in particolare sull’impatto che questi dazi potrebbero avere sulle complesse e globalizzate catene di approvvigionamento del settore tecnologico.

Le aziende tech USA spesso si affidano a reti di fornitori internazionali per componenti, assemblaggio e produzione. L’imposizione di dazi sui beni importati può aumentare i costi per queste aziende, potenzialmente portando a prezzi più alti per i consumatori, a margini di profitto ridotti e a una minore competitività a livello globale. Le barriere commerciali create dalle politiche tariffarie potrebbero inoltre interrompere queste catene di approvvigionamento consolidate, causando inefficienze e ritardi.

Se ciò avvenisse, il settore tecnologico statunitense, che ha guidato i progressi nell’intelligenza artificiale e in altre innovazioni, rischia di perdere il suo vantaggio competitivo.

Crediti: Shutterstock

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Un aspetto cruciale della discussione riguarda la fattibilità di spostare la produzione negli Stati Uniti. Sebbene una politica tariffaria possa essere intesa a incentivare le aziende a riportare la produzione in patria, Ives sembra scettico sulla sua efficacia nel settore tecnologico. Il trasferimento di linee di produzione complesse e specializzate richiede infatti investimenti significativi, tempo e competenze specifiche. Inoltre, i costi di produzione negli Stati Uniti potrebbero essere significativamente più alti rispetto a quelli di altre regioni, rendendo tale spostamento economicamente svantaggioso per molte aziende.

“Se la produzione nazionale sostituisse le importazioni, un iPhone potrebbe costare fino a 3.500 dollari, rispetto alla media attuale di circa 1.000 dollari”, ha detto Ives.

Di conseguenza, anziché riportare la produzione negli Stati Uniti, le aziende potrebbero trovarsi costrette ad assorbire i costi aggiuntivi dei dazi, aumentare i prezzi o cercare fornitori alternativi in paesi non soggetti a tali tariffe. Quest’ultima opzione potrebbe portare a una riorganizzazione delle catene di approvvigionamento globali, ma non necessariamente a un rafforzamento del settore tecnologico statunitense.

“Poiché gli Stati Uniti rappresentano solo il 4% della popolazione mondiale ma il 26% del PIL, qualsiasi politica che comprometta il suo modello economico potrebbe avere implicazioni di vasta portata, soprattutto perché gli USA sono un importante motore dell’innovazione tecnologica globale”, conclude Ives.