Manager italiani attenti alla tecnologia, ma temono impatti sull’occupazione
Sono interessati alla tecnologia, sostengono di conoscerla, ma sono pessimisti sul futuro del lavoro in Italia. Sono i 512 manager tricolori che hanno partecipato all’indagine “Intelligenza artificiale, innovazione, lavoro” che Federmanager Academy ha progettato con Mit Technology Review Italia e che considerano a rischio molti lavoratori della Penisola.
Secondo il campione, infatti, l’Italia è in pole position per quanto riguarda la classifica dei Paesi che subiranno un calo del numero di occupati nei prossimi anni a causa di robot e intelligenza artificiale. A seguire Regno Unito, Francia e Germania.
Una valutazione figlia probabilmente della conoscenza delle aziende dove spesso è presente personale non particolarmente qualificato e dove non si investe abbastanza in formazione. Tanto è vero che alla domanda su quali saranno le figure più a rischio, le risposte indicano soprattutto gli operai non specializzati e, in misura minore per le figure presenti in azienda, anche il responsabile della logistica.
Alcuni puntano il dito anche contro l’operaio specializzato e altri vedono male pure l’e-commerce manager. Fuori dall’azienda invece, il pessimismo si orienta verso commercianti, consulenti finanziari, agricoltori e anche giornalisti.
Di contro viene facile indicare il data scientist come la figura professionale emergente in un prossimo futuro. È l’opinione del 13% del campione che guarda con favore ad altri profili, quali analista di sistemi informatici, social media manager, e-commerce manager, ingegnere o matematico. Pochissimi sostengono i giornalisti.
In maggioranza si tratta di figure tecniche che troveranno spazio in settori coinvolti da una forte trasformazione tecnologica e che, soprattutto per quanto riguarda bancario, automotive e manifatturiero tradizionale, dovranno fare i conti secondo le loro previsioni con una forte riduzione del personale.
“Oltre all’ICT, i manager indicano la consulenza e l’ambiente come settori di sviluppo. Questo è significativo perché si tratta di ambiti che portano innovazione e che richiedono forti competenze tecniche e trasversali”, è il commento del presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla.
Il dato forse più sorprendente riguarda però la conoscenza delle nuove tecnologie. Secondo Cuzzolla cresce la consapevolezza, ma bisogna investire ancora in formazione. Eppure, addirittura il 95% dei manager dichiara di conoscere l’intelligenza artificiale, mentre quando si passa al machine learning si scende al 60%.
Dati comunque alti visto che il recente Osservatorio del Politecnico ha rilevato una certa confusione nelle aziende su cosa sia l’IA. Il 58% la associa a una tecnologia in grado di replicare la mente umana, il 35% a tecniche come il machine learning, il 31% agli assistenti virtuali, mentre solo il 14% ritiene che l’IA mira a replicare specifiche capacità tipiche dell’essere umano. In più i dati sul reale utilizzo dicono che solo il 12% delle imprese ha portato a regime almeno un progetto di IA, mentre quasi una su due non si è ancora mossa.
L’85% dice di conoscere i robot collaborativi (co-bot), il 65% i robot che programmano altri robot, mentre il 53% non mette fra le priorità della ricerca le driverless car. Sono convinti che l’open innovation sia in crescita (67% contro 33%), ma si arrendono quando gli si chiede se siano a conoscenza degli architetti di sistema, una sorta di responsabile degli algoritmi da utilizzare. In questo l’83% ammette di non saperne nulla, ma stiamo andando su livelli un po’ troppo alti. “In questa ricerca – è il commento di Gian Piero Jacobelli, direttore Mit technology review Italia e docente universitario – sembra più diffusa la consapevolezza che la IA concerne l’intero sistema produttivo, di beni e di servizi. Questa consapevolezza si traduce, almeno in parte, in un atteggiamento non più essenzialmente difensivo, ma attento alle cose da fare per riuscire a cogliere tempestivamente le opportunità offerte dalla nuova tecnologia”.
Le opinioni si differenziamo maggiormente quando si parla di e-leadership, la capacità di introdurre, utilizzare e sfruttare le nuove tecnologie. Il 67% è d’accordo con questa definizione che arricchisce il concetto di leadership, ma il 32% è poco d’accordo e il resto poco o nulla. Il 63% preferirebbe che i corsi manageriali su finanza e controllo virassero sulla business analytics, il fintech piace al 71% e il 96% ritiene che la formazione su Industry 4.0 debba riguardare non solo i manager tecnici. È indubbio, c’è voglia di formazione.