Quella verso la digitalizzazione è una strada segnata, difficile tornare indietro. Il digitale può portare con sé molti benefici, ma anche accentuare le disuguaglianze se persone o regioni fossero lasciate indietro. “Con un’azione volta a migliorare le competenze delle loro popolazioni, i Paesi possono garantire che le nuove tecnologie si tramutino in risultati migliori per tutti. Tale orientamento richiede un’azione pubblica unificata e coordinata e politiche in tema di competenze che fungano da pietra angolare per questo pacchetto d’intervento. Le competenze sono essenziali per prosperare in un mondo del lavoro e in una società digitali”. Così recita lo Skills outlook 2019 dell’Ocse che ci ricorda ancora una volta il nostro ritardo sul digitale e lo sviluppo di competenze.

Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (leggi il rapporto), un piccolo gruppo di Paesi, tra cui Belgio, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia e Svezia, è in anticipo rispetto ad altri Paesi nel grado di esposizione alla digitalizzazione. “Le popolazioni di questi Paesi sono ben preparate con le adeguate competenze e sostenute da sistemi efficaci di apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Dietro di loro Giappone e Corea, hanno un grande potenziale per trarre il massimo vantaggio dalla trasformazione digitale, ma devono adottare una serie di politiche per garantire che i lavoratori più anziani non siano lasciati indietro.

Poi c’è l’Italia in compagnia di Cile, Grecia, Lituania, Repubblica Slovacca e Turchia, dove persone e lavoratori spesso non hanno le competenze di base necessarie. “In questi Paesi, i sistemi di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, formali e non formali, devono essere notevolmente rafforzati per consentire un aumento delle competenze e un aggiornamento professionale in tutti gli aspetti della vita”.

OcseI dati parlano chiaro. I giovani con scarse capacità cognitive e digitali in Italia sono il 3,2% (non a caso in Italia i Neet, i giovani tra i 18 e 24 anni che non hanno un lavoro, né sono all’interno di un percorso di studi sono il 13,9%, contro una media Ocse dell’8,9% e solo il 20,4% lavora) contro una media Ocse del 2,3%, gli individui che usano Internet in maniera complessa e diversificata sono il 36,6% (Ocse 58,3%), l’intensità dell’Ict sul lavoro è dello 0,2%, contro lo 0,5% della media e i lavoratori che necessitano di formazione per sfuggire a un elevato rischio di automazione sono il 13,8% per la formazione moderata (10,9%) e il 4,2% per quella elevata (2,8%). Altri dati dicono che gli insegnanti che necessitano di formazione tecnologica sono il 75,2% (58,3%) e gli adulti in formazione sono il 30,2% contro il 42% della media Ocse.

Una situazione che si trascina da anni è che è stata al centro dell’attenzione degli Stati Generali dell’Education organizzati a Torino da Confindustria. Gli industriali hanno ricordato che l’Italia investe nella scuola il 3,4% del Pil, in calo rispetto al passato e meno di quanto invece Francia o Germania assicurano all’educazione. La quota di Pil destinato a scuola e formazione è scesa di quasi mezzo punto in dieci anni e solo il 4,4% dei giovani italiani under 25 alterna percorsi strutturali di studio e lavoro. Per quanto riguarda la formazione terziaria solo l’1% degli studenti segue percorsi altamente professionalizzanti, principalmente negli Its con 2.601 diplomati nell’ultimo anno. E poi c’è la bassa percentuale di laureati in Italia con solo l’1,4% che raggiunge la fine degli studi nelle materie Stem che sono nella stragrande maggioranza ragazzi.

Per dare una sterzata alla situazione Confindustria chiede di aumentare, almeno di un punto, la percentuale di Prodotto interno lordo destinata all’education. Un punto che vale circa venti miliardi in più in 5 anni. Poi, occorre raddoppiare la percentuale di laureati in materie scientifico-matematiche, ingegneria e tecnologia, raggiungendo il 3,6% della Germania o il 3,8% di Uk, portare al 20% la quota di under 25 che studiano e lavorano e raggiungere i 20mila diplomati nella rete Its che raggruppa i percorsi di specializzazione tecnica post diploma e che vanta l’80% dei diplomati al lavoro a un anno dal diploma. Anche le aziende però devono darsi da fare. Secondo il Randstad, multinazionale olandese delle risorse umane, sulla penetrazione delle tecnologie digitali e di intelligenza artificiale in azienda solo il 41% delle imprese ha fatto ricorso a programmi di formazione specializzata, mentre l’87% dei lavoratori intervistati ambisce invece ad aumentare le sue competenze, anche per garantire la propria occupabilità sul lungo termine.OCSE