I tre miti da sfatare sul futuro del lavoro
Le impressioni iniziali, le reazioni viscerali e le ipotesi formulate in fretta e furia possono diventare profondamente radicate nell’opinione pubblica e, anche quando si rivelano false, le persone continuano a crederci. Ecco perché bisogna sfatare i tre più grandi miti sul futuro del lavoro.
Mito 1: La Zoom fatigue è un vero problema
Quando la prima ondata di lockdown ha colpito nel 2020 e i dipendenti hanno iniziato a lavorare da casa su larga scala, tutti hanno iniziato a lamentarsi del fenomeno della Zoom fatigue (o stress da Zoom), che in effetti, almeno inizialmente, è stata qualcosa di reale. Lo shock dell’isolamento ha infatti spinto le persone ad abusare degli strumenti di videoconferenza. Zoom e i suoi concorrenti hanno dominato le nostre giornate lavorative e tutto ciò si è riversato nel tempo personale, anch’esso finito dominato da Zoom e dalle videochiamate.
Questa “malattia” mi ha ricordato l’epidemia della sindrome del tunnel carpale quando milioni di persone avevano iniziato a usare combinazioni di PC e mouse tutto il giorno al lavoro negli anni ’90 o la sindrome della vibrazione fantasma, quando le persone hanno iniziato a portare gli smartphone in tasca nei primi anni 2000.
Oggi non si sente più parlare di queste condizioni semplicemente perché le persone si sono adattate. Lo stesso vale per lo stress da Zoom. Le riunioni stanno diventando più brevi, le lunghe videochiamate personali sono in declino e le persone si stanno abituando psicologicamente alle videoconferenze.
Un recente studio del Pew Research Center ha rilevato che tre quarti (74%) dei lavoratori intervistati che utilizzano strumenti di videoconferenza si trovano a loro agio con la quantità di tempo trascorso ad utilizzarli. Certo, la Zoom fatigue esiste ancora e sta arrivando una tecnologia sostitutiva di livello superiore (riunioni in AR basate su avatar), ma alla fine si è scoperto che lo stress da Zoom non è più quel problema devastante che la gente pensava che fosse e sarebbe stato.
Mito 2: ci si può spostare solo in luoghi con banda larga locale veloce
Le rivoluzioni del lavoro da casa, ibrido, remoto e nomade sono state costruite sulla base delle tecnologie emergenti. I due grandi progressi più recenti sono arrivati da una società, SpaceX. Il servizio satellitare Starlink dell’azienda per la connettività Internet veloce ovunque all’interno della sua area di servizio ha consentito ai lavoratori remoti di lavorare in piccole città, isole lontane o in zone montagnose.
Starlink ha cancellato la necessità di vivere in una grande città per accedere alla connettività Internet veloce. Anche per questo il servizio, disponibile anche in Italia a prezzi non proprio popolari, ha superato un quarto di milione di abbonati a marzo.
La scorsa settimana, l’azienda di Elon Musk ha fatto un altro passo da gigante, annunciando che per un extra di 25 dollari al mese Starlink può diventare mobile. Si potrà quindi porta la parabola satellitare in viaggio o all’estero e avere comunque Internet veloce all’interno dell’area di servizio, che a oggi comprende quasi tutto il Nord America e la maggior parte dell’Europa.
Starlink è insomma diventato un altro prodotto tecnologico che amplia radicalmente le opzioni per vivere e lavorare come nomade digitale e, per di più, l’azienda continua ad aumentare le prestazioni della rete con miglioramenti software e satelliti aggiuntivi in orbita.
Mito 3: Le grandi dimissioni sono disastrose
Più di 47 milioni di persone hanno lasciato il lavoro l’anno scorso. E il trend è proseguito nel 2022. In generale, il turnover del lavoro è cresciuto del 20% nel mondo post-pandemia e rimane su questi livelli. I titoli dei giornali nei confronti di queste “grandi dimissioni” sono allarmistici trattandole come una crisi. Ma lo sono davvero?
Tanto per cominciare, la portata del problema è esagerata. Mentre 47 milioni di persone che lasciano il lavoro può in effetti suonare come un qualcosa di catastrofico, in realtà 42 milioni di persone avevano lasciato il lavoro già nel 2019 prima che la pandemia colpisse. Il numero di persone che si licenziano è certamente più alto rispetto a tre anni fa, ma non così tanto.
Il punto più significativo da sottolineare è che coloro che hanno abbandonato il lavoro di recente, se ne stanno andando perché si sentono autorizzati a migliorare la propria vita, mentre prima si sentivano troppo vincolati o spaventati per farlo. Se qualcuno pensa che intrappolare i dipendenti in una vita che non vogliono sia una sorta di vantaggio aziendale, io non sono per nulla d’accordo.
I dipendenti devono avere la libertà di scegliere la vita che vogliono e un lavoro che li riempia di uno scopo, mentre dal canto loro le aziende devono lavorare di più per migliorare l’esperienza dei dipendenti e capire come adattarsi meglio a essi. Ecco perché penso che le cosiddette gradi dimissioni siano un’opportunità sotto mentite spoglie e non un allarmante segnale di crisi.