150 anni di telefonia: da Meucci al centralino in cloud
L’anno prossimo la telefonia compirà 150 anni: risale infatti al 1871 il brevetto temporaneo del “telettrofono” di Antonio Meucci, da molti ritenuto il primo telefono, anche se il brevetto permanente per un apparecchio molto simile fu depositato nel 1876 da Alexander Graham Bell, cosa che provocò una lunga disputa giudiziaria su chi fosse il vero inventore del telefono.
Negli anni poi la telefonia ha avuto una continua evoluzione tecnologica, passata tra l’altro per le centrali telefoniche a commutazione manuale – dove le famose “centraliniste” ricevevano la richiesta del chiamante e attivavano appunto a mano il collegamento uno-a-uno con il destinatario – e poi, a cominciare dagli anni ‘50, per le centrali a commutazione automatica.
Quando fisso e mobile erano mondi diversi
In ambito business molto presto si è manifestata l’esigenza da parte delle aziende di installare delle centrali telefoniche interne, dette centralini – o con terminologia anglosassone PBX (Private Branch Exchange) – per comunicare con l’esterno, e per collegare i vari uffici e dipendenti con numerazione interna. Due funzioni di base che nei decenni, man mano che si sono evolute le tecnologie, sono sempre rimaste sostanzialmente le sole dei centralini, fino a pochi anni fa.
Anche quando sono comparsi i telefoni cellulari, per molti anni in azienda i due mondi – telefonia fissa e mobile – sono stati nettamente separati sia dal punto di vista tecnologico che organizzativo: il dipendente in sede usava l’apparecchio sulla propria scrivania, gestito attraverso il centralino aziendale, mentre quello in trasferta ricorreva al cellulare. Le funzionalità dell’uno non erano supportate dall’altro, e viceversa.
Negli ultimi anni però la tecnologia del centralino telefonico ha fatto i passi decisivi per integrare non solo la telefonia fissa con quella mobile, ma anche queste con altre funzioni fondamentali come videoconferenza, chat, applicazioni di produttività, e sistemi gestionali e CRM. Per capire questa epocale trasformazione, vediamola più in dettaglio.
ISDN, lo standard riconosciuto per oltre 20 anni
Il centralino telefonico tradizionale utilizzava la rete ISDN (Integrated Services Digital Network), o quella analogica PSTN (Public Switched Telephone Network). La tecnologia ISDN in particolare, che ha dominato il panorama dei centralini telefonici dalla metà degli anni ‘80, prevede due tipologie di accesso: BRI (Basic Rate Interface) e PRI (Primary Rate Interface). La prima supporta fino a 2 linee, la seconda da 15 a 30. La scelta dipende dalle dimensioni aziendali e dalle esigenze multinumero a cui far fronte: accesso simultaneo, in entrata e in uscita, a più linee telefoniche; selezione passante; servizio fax, ecc. Quello che BRI e PRI hanno in comune è la necessità di installare in sede la classica “borchia”, per abilitare il funzionamento delle linee, e quella della manutenzione periodica, che minimizzi guasti e malfunzionamenti.
Negli ultimi anni però l’avvento di internet e dell’IP ha reso obsoleta la tecnologia ISDN. Già nel 2014 un documento di Telecom Italia/TIM parlava del decommissioning, cioè di “una vera e propria ristrutturazione, che prevede una pervasiva introduzione delle soluzioni IP a fronte di piani di dismissione e compattamento delle piattaforme tecnologiche obsolete”, tra cui PSTN e ISDN. Una trasformazione dovuta alla “crescita tumultuosa delle reti broadband e della rete mobile”, testimoniata anche dagli ultimi dati dell’Osservatorio sulle comunicazioni dell’AgCom, secondo i quali in Italia a dicembre 2019 c’è stato lo storico sorpasso delle linee in fibra (10,3 milioni) rispetto a quelle in rame (9,2 milioni).
Il SIP VoIP apre la strada al centralino virtuale
La diffusione anche nel nostro Paese delle connessioni in fibra ottica FTTH (Fiber To The Home), cioè fino all’abitazione o all’ufficio, e di FTTC (Fiber To The Cabinet), la versione mista fibra-cavo di rame, ha cambiato radicalmente la modalità di offerta della fonia e del centralino telefonico. Il protocollo dominante è diventato il VoIP (Voice over Internet Protocol), e da quando gli stessi operatori telco hanno iniziato ad adottare massicciamente il SIP (Session Initiation Protocol), che è il segnale abbinato al VoIP, persino le linee ISDN residue hanno bisogno di convertitori, come router o gateway, per poter utilizzare un protocollo diverso dal loro.
Ma soprattutto la crescita tumultuosa del protocollo SIP VoIP nella fonia ha aperto la strada al completo outsourcing e virtualizzazione del centralino, e quindi all’era dei centralini in cloud, o Cloud PBX.
Secondo un’indagine di Insight Partners, già nel 2018 il mercato Cloud PBX globale valeva 5 miliardi di dollari, con crescita media attesa del 15,5% annuo fino al 2027, quando supererà i 18 miliardi di dollari, di cui 4,6 miliardi in Europa.
In Italia i centralini virtuali sono meno diffusi che in altri Paesi, ma diversi fattori – oltre alla crescente disponibilità delle reti broadband – favoriranno la loro capillare penetrazione. Tra questi ci sono i benefici tipici del cloud computing (forte scalabilità, prevalenza di Opex rispetto a Capex, nessuna installazione di hardware e minore impegno del personale IT, maggior sicurezza dei dati aziendali), nonché la capacità nativa di supportare paradigmi di UC (Unified Communications) e quindi di supportare modelli estremamente attuali come lo smart working.
VoIP “in casa” o Cloud PBX?
Alla luce di tutto questo, nella scelta di un centralino telefonico i criteri tecnologici non sono gli unici. Oltre alle funzionalità, è importante porre attenzione all’infrastruttura e agli SLA indicati dal vendor, e anche la qualità del servizio è fondamentale, oltre ai vincoli contrattuali proposti dal Service Provider. In generale, possiamo confrontare i centralini VoIP on premise con quelli in cloud in base ai criteri della tabella sottostante, elaborata da NFON: