Il digitale nel PNRR: “Fattore competitivo di estrema rilevanza, siamo a un bivio storico”
Si è tenuto nei giorni scorsi agli IBM Studios di Milano l’IBM Think Summit Italy, evento in due giornate con keynote, interventi istituzionali e di esperti di settore, testimonianze di aziende italiane ed internazionali, e sessioni tecniche sui temi su cui IBM si è concentrata nel nuovo corso in vista dell’imminente scorporo di Kyndryl: hybrid cloud, multicloud, automazione, sicurezza, modernizzazione delle applicazioni e Intelligenza Artificiale.
Uno dei momenti più interessanti dell’evento è stato l’intervento di apertura, in cui Lorenzo Tavazzi, Partner e Responsabile Area Scenari e Intelligence di The European House – Ambrosetti (d’ora in poi per comodità Ambrosetti), ha presentato il Position Paper “Le sfide per la competitività dell’Italia e il PNRR come opportunità per la trasformazione del sistema-Paese”, realizzato dalla società di consulenza per IBM.
Un lavoro particolarmente utile – in un periodo in cui tutti parlano di PNRR – per lo sforzo di sintesi del posizionamento competitivo dell’Italia prima della pandemia, e delle opportunità aperte appunto dal PNRR. Il Piano Nazionale è definito nel paper un vero e proprio disegno di riforma organica dell’Italia, pensato per rimuovere gli ostacoli allo sviluppo del Paese anche grazie alla digitalizzazione, considerata uno dei due fondamentali fattori trasversali abilitanti insieme alla transizione “green”.
Produttività stagnante, un problema di “energie di sistema”
Il documento inizia inquadrando lo scenario macroeconomico pre-pandemia, che vedeva l’Italia in stagnazione da 20 anni, con un PIL cresciuto tra 2000 e 2019 solo del 3,9%, contro il 27% della Germania, il 27,9% della Francia e il 44,9% degli Stati Uniti.
Le cause sono molte, ma secondo gli economisti la più determinante è la produttività. Non tanto la produttività del lavoro o quella del capitale, ma una terza componente che Ambrosetti definisce “energie di sistema”, e cioè pratiche manageriali, formazione, allocazione del capitale umano, digitalizzazione, attenzione per la sostenibilità, supporto della Pubblica Amministrazione alle aziende. Queste “energie di sistema” sono l’unica componente di produttività che ha contribuito negativamente (-0,2% annuo) alla crescita del PIL negli ultimi anni.
“Se prendiamo per esempio la Francia”, ha detto Tavazzi, “vent’anni fa eravamo agli stessi livelli, ma oggi il PIL italiano è il 74% di quello francese, che in termini assoluti significa oltre 500 miliardi di PIL persi ogni anno per la non-crescita”.
In questo scenario si è inserito lo shock della pandemia, che ha provocato molte discontinuità su cui il Position Paper si sofferma, e in sintesi un calo del PIL dell’8,9% nel 2020, seguito subito però da una ripresa, con crescite che Ambrosetti stima rispettivamente al 5,5% per il 2021 e al 4,4% per il 2022, anno che segnerà il ritorno ai livelli pre-crisi, “in anticipo di tre anni rispetto alle prime previsioni”.
Una ripresa con alcuni elementi di criticità – pressione sui prezzi delle materie prime, difficoltà delle supply chain logistiche, rialzo dell’inflazione – ma con la forte spinta dalla storica reazione dell’Unione Europea, che ha lanciato il Next Generation EU (NGEU), piano su 5 anni (2021-2026) che il Position Paper definisce un vero e proprio strumento di politica industriale europea, con una dotazione finanziaria di oltre 800 miliardi di euro.
“Non era mai successo di avere risorse, linee strategiche e condizioni favorevoli”
Come noto, il nostro Paese ha declinato le direttive del NGEU nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che delinea un vero disegno di riforma organica del Paese attraverso 63 riforme strutturali e fondi condizionati al rispetto di milestone ben identificate e di KPI misurabili nel tempo, ha spiegato Tavazzi.
“Non era mai successo, almeno in anni recenti, di avere contemporaneamente soldi, indicazioni di direzione strategica, condizioni perché il percorso si sviluppi. L’Italia è largamente il primo beneficiario dei fondi, ci stiamo giocando una partita fondamentale, è una massa di denaro 3 volte superiore a quella della Spagna che è il secondo beneficiario, e quasi 5 volte quella della Francia”.
E per giocarsi bene questa partita occorre operare sui fattori strutturali di freno su cui l’Italia fa più fatica, sulle “energie di sistema” di cui dicevamo prima: “Il PNRR è pensato per agire su gran parte di questi fattori, utilizzando la digitalizzazione come strumento fondamentale”.
PNRR, 59 miliardi per la digitalizzazione dell’Italia
Nell’impianto generale del PNRR infatti la digitalizzazione è considerata un fattore competitivo di estrema rilevanza per il sistema-Paese, trasversale a tutte le misure del piano. Mettendo insieme tutte le misure destinate alla trasformazione digitale si arriva a 59 miliardi di euro. Di questi, 40,3 miliardi sono nella missione 1 del piano, destinati al sistema produttivo (23,9 miliardi), alla PA (9,8 miliardi) e a turismo e cultura (6,7 miliardi). Il resto fa capo ad altre missioni, come le risorse per la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale nella Missione 6.
Sulla digitalizzazione l’Italia come noto parte in posizioni di rincalzo, al 25esimo posto su 28 nell’indice europeo DESI, principalmente per tre ragioni: ritardi nella digitalizzazione delle imprese, ritardi nella digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, carenza di competenze digitali nella popolazione.
Solo qualche numero per spiegare questi tre punti dolenti.
Competenze. L’Italia è al 25esimo posto in Europa per quota di persone con competenze digitali superiori a quelle di base (siamo al 22%, la media europea è 33%), e all’ultimo posto per quota di laureati ICT sul totale di laureati (1%, la media europea è 3,6%).
Pubblica Amministrazione. L’Italia è al 19esimo posto per adozione di soluzioni di e-government. Sul tasso di interazione dei cittadini con la PA su internet abbiamo distacchi abissali dagli altri paesi UE: siamo al 29%, la Spagna è al 63%, la Germania al 66%.
Imprese. In questo campo l’Italia è al 22esimo posto in Europa, a causa soprattutto delle PMI: per citare alcuni dati, tra le aziende italiane sopra i 250 addetti l’89% ha un sito web, il 79% utilizza servizi cloud, e il 78% ha un sito web. Tra le aziende sotto i 250 addetti, queste percentuali scendono rispettivamente al 73%, al 59% e al 35%.
Il documento spiega come il PNRR affronta queste tre criticità. In particolare le misure principali di digitalizzazione della PA sono migrazione di dati e applicativi dei singoli enti in cloud, supporto e incentivi per la migrazione al cloud, interoperabilità tra le basi dati delle PA per favorire l’accesso ai servizi “once only”, miglioramento e incremento dei servizi digitali ai cittadini (PagoPA, app IO, piattaforma unica di notifiche digitali), rafforzamento della cybersecurity, digitalizzazione delle grandi amministrazioni centrali (Giustizia, INPS e INAIL, Difesa, Interni e Guardia di Finanza).
Per digitalizzare il sistema produttivo invece il PNRR punta a favorire gli investimenti delle imprese in tecnologie digitali, investire nelle infrastrutture di banda ultra-larga e 5G, incentivare economia dello spazio e sistemi di monitoraggio del territorio, e anche sostenere l’internazionalizzazione delle imprese.
Tra le misure più rilevanti per le imprese, Ambrosetti evidenzia soprattutto il Piano Transizione 4.0, che sarà supportato da 13,4 miliardi di euro. È un’evoluzione del piano Industria 4.0 del 2017, rispetto al quale presenta tre principali differenze: ampliamento del bacino di imprese beneficiarie tramite la sostituzione dell’iper-ammortamento con crediti fiscali ad hoc; riconoscimento dei crediti per gli investimenti di un biennio (2021/22) e non solo di un anno; estensione degli investimenti agevolabili e aumento del loro volume massimo e delle percentuali di credito.
“Siamo a un bivio storico, è una transizione di sistema, e le tecnologie da sole non bastano”
La digitalizzazione del sistema produttivo, sottolinea il documento, rappresenta quindi una dimensione fondamentale del PNRR e una grande opportunità per generare – per le imprese che sapranno sviluppare ecosistemi pienamente digitali – effetti positivi su variabili fondamentali, tra cui andamento del business, flessibilità, produttività e occupazione.
La produttività in particolare migliora perché le tecnologie digitali facilitano la condivisione delle conoscenze, specie all’interno dell’azienda, e abilitano l’automazione, che aumenta l’efficienza nei processi. “Già oggi in Italia la produttività del lavoro delle aziende digitalizzate è dello 0,5% superiore a quella delle aziende non digitalizzate, e una situazione analoga vale anche per l’occupazione: la percentuale di occupazione generata dalle imprese digitalizzate è di 4 punti più alta di quella delle non digitalizzate”.
Questo perché la digitalizzazione crea nuove figure professionali (dai data scientist agli account manager dei social media) e nuovi tipi di organizzazioni (fornitori di cloud computing, agenzie di social media), creando dunque nuove opportunità, e polarizza il mercato del lavoro, riducendo i lavori mediamente qualificati (perché li automatizza) a vantaggio di quelli ad alta e a bassa qualificazione, e quindi incentivando riqualificazione e aggiornamento delle competenze.
Il Partner di The European House – Ambrosetti ha concluso con tre messaggi: “Primo: siamo a un bivio storico, abbiamo l’enorme opportunità di utilizzare grandi risorse entro un piano organico di riforme per fare un salto di livello. Secondo: siamo in una transizione di sistema, e quindi in un periodo difficile: non si può prescindere dal rilancio del capitale umano. Terzo: la digitalizzazione è un fattore strutturale per crescere in modo sostenibile, ma a supporto delle tecnologie occorre un ecosistema per farle rendere al massimo e creare un volano di sviluppo. Occorre un gioco di squadra tra pubblico e privato in una cornice di governance che sappia mantenere barra dritta e velocità”.