Futuro del lavoro, 6 soluzioni digitali per motivare i dipendenti
Più i dipendenti sono motivati e più è probabile che un’organizzazione sia sempre pronta a rispondere ai cambiamenti del mercato con buoni risultati: su questo sono tutti d’accordo. Ma come motivare i dipendenti? I modelli di lavoro “ibridi” o flessibili aiutano, i trattamenti economici equi e la cultura inclusiva anche. Ma ciò che davvero fa la differenza è che l’organizzazione sia “purpose-driven”, cioè abbia obiettivi basati su valori forti, ben al di là del solo profitto, da raggiungere anche attraverso un saggio uso delle tecnologie digitali.
Questi i temi che hanno animato l’edizione italiana 2023 dell’IDC Future of Work Forum, tenutasi a Milano pochi giorni fa, con Cisco, AnyDesk Software, Elmec Informatica, Logitech, Nexthink, NTT, OutSystems e Poly come sponsor.
Più di una organizzazione su 2 sta risentendo della “great resignation”
L’evento è stato aperto da Roberta Bigliani, Group VP, Head of Insights and Future of Work Practice Executive Lead di IDC: “Più di una organizzazione su due nel mondo sta sentendo gli effetti della tendenza “great resignation”, con le prevedibili conseguenze: più carico di lavoro sui “superstiti”, aumento dei rischi di sicurezza, perdita di know-how critico, riduzioni del livello di soddisfazione dei clienti”.
Questo ha ovviamente ripercussioni anche in Italia, dove secondo IDC un dipendente su 4 sta attivamente cercando lavoro, e uno su 10 l’ha appena cambiato, con motivazioni che vanno dal miglioramento del trattamento economico (47%) e della cultura aziendale (35%), alla ricerca di avanzamenti di carriera (29%) e condizioni di lavoro più flessibili (26%).
Come deve essere un’azienda people centric secondo i lavoratori italiani
Per le organizzazioni italiane questo può essere motivo di preoccupazione o di opportunità, ma ben l’86% si dice in difficoltà nel trovare talenti. Un po’ per l’oggettiva scarsità sul mercato di molte specializzazioni, e un po’ perché le organizzazioni stesse non riescono a rispondere alla richiesta di nuovi modelli di lavoro flessibili. “A livello europeo solo il 9% si dice totalmente pronta su questo fronte, mentre più della metà (54%) non ha fatto abbastanza e non riesce a tenere il passo con la velocità dei cambiamenti”.
Come si esce da questa impasse? Sbloccando il potere del “purpose, spiega Bigliani. “Per le organizzazioni purpose-driven funziona la metafora della regata: l’interesse del singolo è allineato con quello dell’intero team, ciascuno ha un ruolo specifico e critico per il successo, e la gerarchia non è percepita come segno di autorità ma come consapevolezza della necessità di ruoli per raggiungere gli obiettivi”.
Vari studi di IDC dimostrano che le imprese purpose-driven hanno maggiori probabilità di avere dipendenti motivati e produttivi, cioè di essere “people-centric”. E secondo i lavoratori italiani, sottolinea la Vice President di IDC, un’organizzazione people-centric ha caratteristiche ben precise: comunica i cambiamenti in modo chiaro e tempestivo (41%), ha manager che riconoscono i risultati e gratificano spesso i collaboratori (40%), ha una cultura inclusiva e processi di selezione del personale corretti e trasparenti.
Quanto al fronte tecnologico, secondo la recente “Future of Work – Spending Guide” di IDC, le organizzazioni pubbliche e private nel mondo aumenteranno del 18,8% i loro investimenti in modelli “Future of Work”, cioè in tecnologie e servizi per l’abilitazione di modelli di digital workspace, spendendo quasi un miliardo di dollari.
Sei soluzioni digitali per realizzare il potenziale del purpose-driven
In particolare, precisa Bigliani, sono 6 i tipi di investimenti in soluzioni digitali più indicati per realizzare il potenziale dell’approccio “purpose-driven”:
1) soluzioni fisiche e digitali per creare workspace a supporto di modelli di lavoro ibridi, che ottimizzino produttività, collaborazione e collegamento al purpose
2) device sostenibili by design
3) automazione dei workflow per eliminare attività ripetitive e dedicare più tempo a compiti a maggior valore aggiunto
4) piattaforme di formazione continua per mantenere le skill del personale sempre aggiornate
5) strumenti di supporto IT per ridurre la complessità
6) soluzioni di identity management e zero trust per abilitare ambienti di workspace “perimeter-less”.
L’IDC Future of Work Forum è poi proseguito con diversi altri interventi, tra cui quello di Michele Dalmazzoni, Direttore della Divisione Collaboration Sud Europa, Francia e Israele di Cisco: “Siamo entrati in una nuova era del lavoro dove domina il video e le dimensioni fisica e digitale sono mischiate, ma secondo McKinsey il 68% delle aziende non ha ancora preso decisioni su cosa fare: la tecnologia c’è ma molte aziende hanno problemi di user experience”.
Diverse anche le testimonianze delle aziende utenti. Secondo Emiliano Cappuccitti, People and Culture Director di Coca Cola HBC, il problema principale non è tanto la scarsità di talenti, quanto la capacità di conciliare i valori e le skill del singolo con la cultura aziendale. “In questo la tecnologia non deve fare paura come spesso succede, ma deve essere un facilitatore: uno dei nostri valori fondamentali in azienda è make it simple, e per questo il digitale è uno strumento fondamentale”.
Fabrizio Alampi, CIO di Colisée Italia (gruppo specializzato in gestione delle RSA con 17 strutture in Italia), ha parlato soprattutto delle problematiche di gestione di device rivolti a diverse tipologie di utenti. “Per esempio durante la pandemia abbiamo dotato tutti gli ospiti di un tablet, per poter comunicare con i parenti che non potevano venire a trovarli: c’è un grande lavoro dell’IT dietro alla gestione di 100 dispositivi per ogni struttura, dalla connettività alla sicurezza”. In generale in strutture dove operano figure molto eterogenee questo è un tema particolarmente delicato: “Quello che ci ha creato più criticità è il personale esterno fornito dalle cooperative, quindi persone esterne che però devono accedere a determinate risorse interne: in questi casi è molto importante lavorare con il reparto HR”.
“Non basta introdurre cambiamenti e sperare che le persone riempiano gli spazi”
Infine l’evento si è chiuso con la “External view” di Luca Solari, Professore ordinario di Organizzazione Aziendale alla Statale di Milano e fondatore della società di consulenza OrgTech. “Secondo Herbert Simon, l’organizzazione è programmare il programmabile, ma è il programmabile che è cambiato in questi anni: fluttuazioni e frequenze delle perturbazioni al sistema organizzazione sono aumentati, portando a una continua instabilità”.
In questo quadro secondo Solari le organizzazioni sostengono costi crescenti per attrarci, coinvolgerci e renderci produttivi, ma fanno fatica a piacerci: sempre più persone decidono di farne a meno e creano le loro imprese, che però appena hanno successo ricadono nelle stesse difficoltà. Per uscire da questo circolo vizioso occorre costruire organizzazioni che danno più libertà alle persone, tornando in un certo senso al concetto di “purpose-driven” già citato, cioè ottenendo quella motivazione intrinseca che nasce dal fare quello che capiamo e in cui crediamo.
Oggi il lavoro ha un’area molto ampia di “non espressione completa”. “Le organizzazioni introducono cambiamenti pensando che basti questo per far succedere le cose, e invece non basta creare uno spazio perché le persone si mettano d’accordo sul gioco da giocare”. Manca l’osservazione della attività quotidiana delle persone operative, conclude Solari: “La parte di analisi, di diagnosi, deve evolvere”.