Infrastruttura IT: un futuro di cloud e sostenibilità che è già presente
L’infrastruttura IT secondo l’80% dei decision maker ha un ruolo essenziale per raggiungere gli obiettivi aziendali, e sta vivendo una transizione epocale: entro il 2026 due buyer tecnologici aziendali su tre non punteranno più su acquisti di hardware e data center proprietari, ma su modelli di consumo as-a-service. Cioè compreranno servizi cloud infrastrutturali.
Le motivazioni sono tante: in primis controllare la spesa IT, rispondere alla carenza di competenze digitali, raggiungere obiettivi di sostenibilità. Tutti problemi su cui le aziende si aspettano un supporto da vendor e partner IT che vada oltre la mera fornitura di soluzioni e servizi.
Questi i temi principali del recente evento “IDC Future of Digital Infrastructure Forum 2023” a Milano, a cui hanno partecipato diverse organizzazioni utenti tra cui Istituto Besta, ConTe.it e Snai, nonché gli sponsor Cradlepoint, Deda Cloud, VMware, Denodo, Dynatrace, IBM, Nutanix, Equinix, HashiCorp, Wiit, TeamViewer e SolarWinds.
L’economia circolare per la sostenibilità dell’infrastruttura IT
Dalle indagini IDC emerge che il futuro dell’infrastruttura IT si basa sull’ubiquità del servizio, e che la sostenibilità non è più solo un’opzione, ha detto Sergio Patano, associate director consulting and custom solutions di IDC Italia (nella foto di apertura), introducendo l’evento.
“Il cloud continua a essere l’elemento fondante dell’infrastruttura digitale non solo per obiettivi di business e IT ma anche di sostenibilità. Il cloud in tutte le sue accezioni – dall’hybrid cloud ai classici servizi cloud IaaS in multitenancy, fino a bare metal dedicato, hosting e colocation – può aiutare le aziende a diventare più sostenibili in molti modi, dalla riduzione dei consumi all’accesso a soluzioni più efficienti, alla stessa misurazione degli impatti ambientali”.
In generale, ha aggiunto Patano (qui la sua intervista a DigitalWorld per introdurre l’evento), adottare modelli di economia circolare rende anche più sostenibili le infrastrutture digitali. “Le apparecchiature ricondizionate e riciclate possono ridurre i costi, purché ovviamente non siano inquinanti. Inoltre occorre rivedere regolarmente obiettivi e tempistiche, aggiornare i manager per responsabilità e revisioni, coinvolgere le varie funzioni aziendali per stabilire policy da sottoporre anche a fornitori e partner”.
Connettività wireless LAN e Data Democracy
Tutti concetti che i vendor IT all’evento hanno declinato in funzione delle proprie specializzazioni. Per esempio Lorenzo Ruggero, area director Sud Europa di Cradlepoint, ha evidenziato l’importanza della connettività per la trasformazione digitale: “Le wireless LAN assicurano più portata e agilità delle reti cablate, esaltano il valore del 5G, e abbassano i rischi di downtime portando la business continuity al 99,99%”.
Andrea Zinno, sales director di Denodo, specialista di tecnologie di gestione del dato, ha invece puntato sulla “data democracy”: “Anche i dati sono un diritto, di cui le persone sono sempre più consapevoli: sono un bene comune come l’acqua, devono poter essere consumati da tutti facilmente e nel rispetto delle regole”. Mentre Nutanix, ha spiegato Roberto Dognini, senior sales manager Nord Italia, conta sul know-how accumulato nella semplificazione del data center a casa delle imprese clienti, per aiutarle a ottenere gli stessi livelli di user experience con gli ambiti multicloud.
Istituto Besta, come coniugare ricerca e assistenza anche nella gestione del dato
Francesca De Giorgi, CIO dell’Istituto Carlo Besta di Milano, ha invece portato un punto di vista da organizzazione utente, in questo caso un centro di sanità pubblica monospecialistico di neurologia. “Siamo un’organizzazione complessa che si occupa sia di ricerca che di assistenza. Coniugare questi due aspetti è una sfida anche nella gestione del dato, rispetto alla visione tradizionale a silos: occorre saper gestire la convergenza dei dati che vengono dai wearable, dall’interazione col paziente, real world data, raccogliendoli in modo centralizzato su una clinical data platform”.
L’Istituto ha migrato tutto il data center nel cloud, “che è stato un fattore abilitante soprattutto durante la pandemia, quando – avendo oltre il 60% di pazienti provenienti da fuori regione – li abbiamo dovuti prendere totalmente in carico”. L’obiettivo finale, continua De Giorgi, è rendere l’infrastruttura IT una commodity, lasciando la guida dell’innovazione ai clinici. “Per esempio siamo una delle realtà di punta in Italia sulla telemedicina, con oltre 10mila prestazioni”.
“In assenza di automazione il team IT sarà sommerso”
Al di là dei molti benefici, però, il cloud ha reso più complicata la gestione dell’infrastruttura IT, sottolinea Michelangelo Uberti, marketing manager di Dynatrace. “Ogni azienda in media deve gestire 7 piattaforme e sistemi diversi, e ogni transazione coinvolge in media 35 tecnologie. La quantità di dati prodotta giornalmente supera la capacità umana di gestirli: in assenza di automazione il team IT sarà sommerso”.
Problemi che riguardano tutti i settori, compreso l’assicurativo: “ConTe è il marchio italiano del gruppo Admiral, ha iniziato dalle polizze auto e ora si sta espandendo: in Italia abbiamo oltre 1 milione di clienti e 600 dipendenti”, ha detto Andrea Cova, CTO di ConTe.it. “Abbiamo sempre avuto un approccio tech data driven, il nostro ambiente applicativo è complesso e variegato, fortemente cloud oriented, basato su AWS, e monitorarlo con diversi strumenti era diventato inefficace e costoso”.
Per questo ConTe ha adottato Dynatrace: “Siamo andati live in meno di un mese, è un osservatorio end to end dell’intero stack applicativo, con individuazione immediata e automatica delle anomalie: il tempo medio di risoluzione è sceso dell’80%. Lo usiamo anche per monitorare il post-release delle novità software, in cui è essenziale la governance, e per misurare l’esperienza d’uso dei clienti sui nostri canali digitali”.
Altro caso utente al Future of Digital Infrastructure Forum di IDC è stato RAD Informatica, specialista di software per recupero crediti con 14 milioni di fatturato e 50 dipendenti, il cui progetto di rivisitazione dell’infrastruttura cloud, mirato ad aumentare l’agilità, ampliare l’offerta di servizi e liberarsi dalla gestione interna dei sistemi, è stato affidato a Deda Cloud, l’unica società non software del Gruppo Deda.
“La soluzione adottata, legata in particolare a piattaforme VMware, prevede ambienti pure IaaS per lo sviluppo, managed IaaS per la produzione, infrastruttura di data recovery e sicurezza perimetrale”, ha spiegato Roberto Martini, head of go-to-market di Deda Cloud, mentre Rodolfo Rotondo, Business Solution Strategist Director di VMware, ha approfondito l’approccio “cloud smart” del vendor per gestire ambienti multicloud riducendo costi e complessità.
Snai, la sfida della continuità online-retail quando raddoppiano clienti e transazioni
L’evento IDC ha poi visto un momento di sessioni parallele che hanno coinvolto tutti gli intervenuti, e diversi altri interventi, tra cui quello dell’astronauta e divulgatore Umberto Guidoni come honorary guest speaker. Qui per brevità chiudiamo con un altro caso utente, Snaitech, comunemente nota come Snai, che in Italia ha 3 sedi, più di 1000 dipendenti, tre ippodromi, 2000 punti vendita sul territorio (con oltre 20mila touchpoint), siti web e app.
“Siamo il principale operatore italiano di gaming e scommesse, con poco meno di 1 miliardo di fatturato, in crescita del 30%, ed ebitda di 250 milioni”, ha spiegato il CTO Morgan Ricciardi. “Siamo un’azienda di tecnologie, con oltre 100 persone dedicate, cloud first e digital first (abbiamo due CED che abbiamo iniziato a dismettere), e anche mobile first: dobbiamo chiudere le transazioni in meno di 100 millisecondi, anche con picchi pazzeschi durante le partite, fino a 20x, pena la perdita del business”.
La pandemia, continua Ricciardi, ha fortemente accelerato l’ecommerce (“oggi l’app mobile rappresenta l’80% del transato”) raddoppiando la customer base e il volume del transato, ma azzerando le transazioni nei punti vendita. Poi finiti i lockdown le transazioni digitali non sono scese, e quelle nei punti vendita sono tornate.
“L’obiettivo è stato di rendere omogenei retail e online, senza soluzione di continuità. Avevamo già iniziato un completo refactoring delle nostre infrastrutture in chiave cloud, poi durante il primo lockdown abbiamo lanciato l’app”. Ora, completata da qualche mese la rivisitazione della piattaforma digitale, “il prossimo passo è diventare una vera data driven company, con 3 obiettivi: trasformare la mole di dati in informazioni di business, effetto “betflix” – cioè personalizzazione spinta delle offerte attraverso gli analytics – e uso di AI e machine learning per creare un valore che ora non c’è”.