Come gestire le acquisizioni nel canale IT: i consigli di IDC
Questo 2020 prima dell’emergenza coronavirus si prospettava secondo gli analisti come un anno di frenetica attività di M&A, cioè di fusioni e acquisizioni, tra gli operatori del canale ICT: ora è prevedibile un rallentamento delle attività di scouting, analisi di mercato, due diligence e negoziazione, ma ovviamente nei prossimi mesi tutto ripartirà a pieno regime anche in quest’ambito.
Sui principali aspetti da considerare nella valutazione di una acquisizione c’è una vasta letteratura, che però si riduce di molto se consideriamo le specificità di un mercato come appunto quello dei distributori, reseller, system integrator e ISV specializzati sull’IT. Una serie di spunti interessanti in questo campo viene però da Nigel Parsons, Research Director di IDC.
“In 30 anni di esperienza come analista di questo mercato”, spiega Parsons, “ho assistito in prima linea a molte acquisizioni di successo e non così di successo, e ho visto direttamente molti casi di operatori di canale che sono riusciti ad ampliare il loro business, o a diversificarlo, grazie a un’azzeccata acquisizione”. E tutte queste operazioni sono accomunate da alcuni passaggi chiave: eccoli.
Esplorazione continua del mercato
Nessun operatore di canale è sempre nella modalità di ricerca di un’acquisizione, come potenziale acquisito o acquirente. Però tutti si prestano a essere valutati, specialmente se non sono quotati, perché questo è il modo migliore per quantificare il proprio valore sul mercato, e il proprio stato di salute come società. Detto questo, qualsiasi acquisizione si consideri, la condizione necessaria è che sia coerente con la propria strategia di lungo termine.
Un tipico caso è la volontà di entrare in un nuovo settore o area di business, o di ampliarvi la propria presenza. Questo si può ottenere con la crescita organica, o appunto con un’acquisizione. Entrambe queste strategie hanno i loro pro e contro, ma tipicamente se questa entrata/crescita nel nuovo business deve avvenire in tempi brevi, l’acquisizione è preferibile.
Nel momento in cui si ha un solido business plan, obiettivi strategici ben definiti, e un identikit preciso del tipo di azienda da acquisire, il passo successivo è cercare sul mercato delle realtà che corrispondano a questo identikit.
La ricerca dei target
Un accorgimento utile in questa fase secondo Parsons è far circolare nella propria azienda la voce di questa ricerca. Spesso capita che dei dipendenti che hanno lavorato in passato presso aziende target abbiano informazioni utili per la valutazione. Non solo: c’è anche un beneficio per l’atmosfera aziendale perché il personale si sente coinvolto e aumenta la fiducia nell’azienda.
Un’altra occasione molto utile per cercare dei target e raccogliere informazioni su di loro sono gli eventi specializzati. Per esempio se si vuole fare un’acquisizione in campo cybersecurity, frequentare gli eventi locali, nazionali o continentali (in funzione delle dimensioni delle aziende target a cui mirate) in questo campo è assolutamente irrinunciabile se volete definire una lista completa e aggiornata dei player e avere un’idea di cosa stanno facendo.
Per quanto riguarda le informazioni societarie e finanziarie di base, basta cercare su un motore di ricerca internet: esistono molte aggiornate banche dati che in cambio di un abbonamento mettono a disposizione questo tipo di informazioni.
Un’altra strategia è … non muoversi direttamente, nel senso che molte aziende o management team non considerano l’opzione acquisizioni fino a quando non sono consigliate a farlo da una terza parte, dalla società di consulenza strategica al commercialista.
Una terza parte in effetti può fare tutto il lavoro di analisi del mercato e di selezione dei target, con un punto di vista neutrale che può evidenziare in modo più oggettivo i punti di forza dell’aspirante acquirente e della potenziale acquisita.
La trattativa: attenti ai modelli di business Cloud
Che abbiate lavorato alla selezione da soli come azienda, o che vi siate affidati a una società di consulenza, alla fine vi ritrovate con una shortlist di potenziali target. A questo punto occorre contattarli e proporre un primo incontro da condurre ovviamente con un approccio di business e professionale: in altre parole, la fusione/acquisizione deve convenire a entrambe le parti, ed essere coerente con le strategie di entrambe, e quindi occorre definire un business case ispirato a questi principi.
Se il target è una azienda a conduzione familiare, per esempio, anche se media o grande molto probabilmente avrà tra le sue prorità di salvaguardare il posto di lavoro e le condizioni contrattuali di tutti i suoi dipendenti.
Nella trattativa di solito le specifiche finanziarie, legali e fiscali sono curate da apposite società di specialisti di fiducia delle due parti. Per l’ambito ICT negli ultimi anni si pone sempre più spesso il problema di valutare nel modo più corretto le società con modello di business basato sul cloud computing, cioè su entrate ricorrenti a scadenze fisse.
Per questi casi gli specialisti finanziari devono ovviamente considerare KPI nuovi e specifici, per esempio il fatturato mensile ricorrente, il tasso di rinnovo annuale dei clienti, il tasso di “churn”, il costo di acquisizione di un nuovo cliente, e così via.
A volte nonostante tutto qualcosa resta fuori dalle due diligence
In generale, spiega Parsons, esperti finanziari e legali che non hanno grandi conoscenze di business del mercato ICT vanno accuratamente istruiti sulle priorità di business dell’acquisizione, e sui relativi driver principali: una volta fatto questo passo, possono tranquillamente essere lasciati interagire da soli per portare avanti la trattativa sui loro ambiti. Un consiglio piuttosto scontato è di definire per tempo la pianificazione finanziaria per effettuare i pagamenti previsti dal contratto in definiti momenti del processo di integrazione.
“A volte, nonostante tutte le analisi, le verifiche e le due diligence, qualcosa resta fuori comunque”, sottolinea l’analista di IDC citando un caso in cui una società acquisita aveva un contratto con una società di consulenza per 200mila dollari valido per 3 anni.
Una cosa che è emersa due anni dopo la firma del contratto di acquisizione, nella tornata conclusiva di negoziazioni per espletare le ultime condizioni dell’accordo, e ha dovuto essere inserita in tale accordo a posteriori. “Non è stata una omissione voluta, ma semplicemente un punto che è sfuggito a tutti nelle varie analisi e revisioni. A parte le complicazioni contrattuali e finanziarie del momento, è stata comunque una lezione che nessuno di quelli coinvolti scorderà mai”.
Il processo di integrazione: dimissioni e location
Dopo la firma c’è il processo di integrazione, che è la fase più delicata e ad alto tasso di fallimento. Parsons cita il caso di un’azienda che ha seguito personalmente, che aveva dei parametri molto rigidi per il processo di integrazione delle acquisizioni, uno dei quali riguardava il personale: secondo loro soltanto il 30% delle persone di una società acquisita doveva ancora essere in organico allo scadere dei due anni dalla firma dell’acquisizione.
“In un primo momento sono rimasto scioccato, pensavo fosse un approccio inumano e totalmente privo di sensibilità, basato solo sui numeri. Due anni dopo invece il 72% del personale si era dimesso: non siamo rimasti spiazzati solo perché questo numero più o meno era già previsto nel piano di integrazione”.
Insomma, occorre essere realisti sul fatto che la gestione delle persone è uno degli elementi più critici di un’acquisizione, e che è impossibile che tutti restino contenti durante il processo di integrazione. “Più le culture aziendali delle due aziende sono diverse, e più gente se ne andrà, e c’è ben poco che si possa fare se non augurare loro buona fortuna”.
E veniamo al discorso della location: quanto è importante questo punto nel gestire un’integrazione post-acquisizione? Molte imprese familiari hanno sede in luoghi scelti dall’imprenditore per le ragioni più varie, spesso per affetto o comodità. E spesso moltissimi dei dipendenti abitano vicino alla sede, o hanno ampia libertà di gestirsi l’orario di lavoro o la scelta se lavorare da casa.
Entro la stessa città, la location non è mai un problema in un processo di integrazione, ma se le sedi delle due aziende sono in posti diversi può diventare una variabile molto critica. E qui Parsons scrive testualmente che “se non ci sono solide motivazioni per tenere separate le due sedi, io raccomando fortemente di sceglierne una unica il più presto possibile”.
Piuttosto preparate per le risorse più critiche che si devono trasferire di sede dei pacchetti economici e di benefit per cercare di scongiurare le loro dimissioni. “Ma mantenere varie sedi separate, magari con talenti e risorse specialistiche lontani dal flusso principale del business, nella mia esperienza porta alla lenta perdita di queste expertise. Ho visto, in un processo di integrazione gestito male, mantenere aperto un ufficio con sole 4 persone dall’altra parte del Paese rispetto alla sede principale, con queste persone che hanno tenuto sotto ricatto tutto il resto dell’azienda grazie ai loro skill difficilmente sostituibili: non è finita bene, e tutto questo si poteva evitare con una chiara comunicazione e gestendo il problema all’inizio una volta per tutte”.
Tirando le somme, conclude Parsons, le acquisizioni sono un’ottima strategia di crescita, ma non vanno bene per tutte le aziende e le situazioni. Se gestite bene prima e dopo la firma del contratto, però, possono portare benefici persino superiori alle attese iniziali.