Cloud europeo: cresce l’interesse per le alternative ai provider USA dopo le tensioni geopolitiche

Negli ultimi mesi, l’atteggiamento delle aziende europee verso i grandi fornitori cloud statunitensi come AWS, Azure e Google Cloud sta cambiando in modo evidente. A influenzare questa riflessione non sono solo le turbolenze economiche e commerciali, ma anche le crescenti preoccupazioni legate alla sovranità dei dati, all’affidabilità e alla sicurezza geopolitica.
Il tema è emerso con forza durante la conferenza KubeCon EU di inizio mese, dove gli operatori europei del settore cloud hanno registrato un’impennata di interesse per soluzioni alternative ai colossi americani. Secondo Mark Boost, CEO del provider britannico CIVO, da tempo sostenitore della sovranità digitale e critico delle pratiche commerciali aggressive degli hyperscaler, la rapidità con cui l’attenzione si è spostata verso opzioni europee è sorprendente.
Un sentimento simile è stato espresso anche da Nextcloud, fornitore tedesco di soluzioni cloud open source, che ha registrato un vero e proprio boom nelle richieste da parte di aziende alla ricerca di alternative. Il CEO Frank Karlitschek ha individuato tre motivi principali dietro questa tendenza.
- Instabilità percepita dovuta alla possibilità concreta che, a scopi politici o commerciali, i servizi possano essere sospesi o bloccati da un giorno all’altro
- Incertezza legata ai dazi doganali e ai possibili aumenti di prezzo derivanti dalle tensioni commerciali fra Stati Uniti ed Europa
- Crescente preoccupazione per l’accesso e la manipolazione dei dati da parte di soggetti terzi
Queste preoccupazioni, che fino a qualche tempo fa sarebbero state considerate esagerate, oggi trovano riscontro anche nei comportamenti delle istituzioni europee, tanto che secondo alcune indiscrezioni al personale della UE sarebbero stati consegnati telefoni e laptop “usa e getta” per i viaggi negli Stati Uniti, proprio per minimizzare il rischio di intercettazioni o accessi indesiderati ai dati.
Anche Vultr, un’alternativa americana agli hyperscaler con data center distribuiti a livello globale, ha confermato un aumento significativo di interesse per infrastrutture cloud “sovrane”, ovvero soluzioni in cui il cliente può sapere esattamente dove si trovano i propri dati, come vengono gestiti e chi può accedervi. Kevin Cochrane, Chief Marketing Officer dell’azienda, ha sottolineato come le aziende e i governi si stiano interrogando sul reale controllo che Microsoft, Google e Amazon esercitano sulle infrastrutture digitali critiche e sui rischi commerciali legati a questa dipendenza.
Queste preoccupazioni, ha aggiunto Cochrane, erano già presenti prima delle recenti dispute sui dazi e sulle tariffe, ma la situazione geopolitica attuale ha amplificato il senso di urgenza; in un contesto globale instabile, sapere dove risiedono fisicamente i propri dati e sotto quale giurisdizione ricadano sta infatti diventando una questione strategica.
Naturalmente, migrare verso provider alternativi non è un’operazione rapida. Karlitschek ha spiegato che un passaggio completo da un hyperscaler a un fornitore europeo richiede in genere mesi, se non anni, e deve essere affrontato con un approccio metodico, passo dopo passo, una volta individuati partner affidabili. Tuttavia, ha aggiunto, alcune organizzazioni, specialmente quelle che si sentono minacciate dalle possibili azioni del governo statunitense, stanno cercando di accelerare i tempi e avviare trasferimenti più rapidi.
A questa ondata di riflessioni si aggiunge anche la consapevolezza di un rischio meno immediato ma altrettanto rilevante, ovvero la possibilità che i giganti del cloud utilizzino il semplice interesse verso alternative per sostenere, nei confronti delle autorità antitrust, di non detenere una posizione dominante. Su questo punto Boost ha riconosciuto che, pur esistendo il pericolo, c’è ancora molta strada da fare prima che i grandi hyperscaler possano davvero affermare di non godere di una posizione di monopolio, specialmente se si considera che, ad oggi, Amazon, Microsoft e Google detengono circa il 70% del mercato europeo del cloud.
Anche Jonathan Bryce, CEO della Open Infrastructure Foundation, ha confermato l’incremento di interesse verso soluzioni cloud indipendenti dagli hyperscaler. Secondo Bryce, la questione della sovranità digitale è discussa da anni, ma gli eventi geopolitici recenti e l’instabilità economica globale hanno accelerato l’attenzione verso alternative più trasparenti e controllabili. Un esempio concreto di questo clima di incertezza è rappresentato dalla recente acquisizione di VMware da parte di Broadcom, che ha comportato un forte aumento dei costi di licenza per numerosi clienti, spingendoli a cercare nuove soluzioni tra cui progetti open source o federazioni cloud.
Bryce ha sottolineato come la crescente consapevolezza stia portando aziende e governi a porsi domande fondamentali: dove si trovano fisicamente i dati? Chi ne detiene il controllo legale? Quali leggi ne regolano l’accesso e la possibilità di sequestro o blocco? E soprattutto, come proteggere il proprio business da decisioni politiche o economiche prese oltreoceano?
Nonostante l’interesse crescente, al momento non si registrano casi pubblici di enti governativi o grandi aziende europee che abbiano ufficialmente annunciato l’abbandono degli hyperscaler americani, ma l’attenzione su queste tematiche continua ad aumentare. L’impressione generale è che, pur in assenza di decisioni immediate e clamorose, il terreno si stia preparando a una progressiva diversificazione del mercato cloud, con l’Europa sempre più determinata a costruire un’infrastruttura digitale più autonoma e meno dipendente dagli Stati Uniti.