Multa antitrust a Google, quali impatti sulle altre big tech?
La recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di confermare in gran parte la sentenza della Commissione Europea che ha multato Google per 4 miliardi di euro (3,9 miliardi di dollari) per violazioni antitrust potrebbe avere implicazioni di ampio raggio per altre grandi società tecnologiche. Il caso risale al 2018, quando il capo della concorrenza dell’UE, Margrethe Vestager, emise una sentenza secondo cui Google utilizzò il suo sistema operativo mobile Android per ostacolare i concorrenti. La sentenza riguardava tre tipi di accordi che coinvolgevano gli accordi di distribuzione di applicazioni mobili (MADA), gli accordi antifragmentazione (AFA) e gli accordi di condivisione delle entrate (RSA) di Google.
Secondo l’ente regolatorio UE, i MADA di Google richiedevano ai produttori di smartphone di preinstallare la ricerca e il browser di Google per poter avere il Play Store a bordo dei loro telefoni, mentre i suoi AFA costringevano i produttori di smartphone a non eseguire versioni alternative di Android. Infine, in base agli RSA della grande G, gli operatori di telefonia mobile e i produttori di smartphone guadagnavano (tramite i cosiddetti exclusivity rebates) nel non preinstallare un motore di ricerca concorrente a quello di Google. Questa settimana la Corte di Giustizia UE ha confermato che i MADA e gli AFA di Google erano anticoncorrenziali, ma ha annullato l’infrazione relativa alle RSA. Di conseguenza, la multa comminata inizialmente a Google è scesa da 4,34 miliardi di euro a 4,125 miliardi di euro.
La multa a Google rimane un record per l’antitrust
Tuttavia, anche con la riduzione, la somma finale rappresenta una multa record per una violazione antitrust. Google è stata multata per un totale di 8,25 miliardi di euro dall’UE per violazioni antitrust risalenti a più di un decennio fa e attraverso tre indagini separate. Google, nel frattempo, sta ricorrendo in appello separatamente per una multa da 1,49 miliardi di euro emessa a marzo 2019 per aver abusato della sua posizione dominante sul mercato imponendo clausole restrittive nei contratti con siti Web di terze parti per impedire ai suoi rivali di inserire annunci di ricerca su tali siti.
Zach Meyers, ricercatore senior presso il Centre for European Reform, ha affermato che la decisione della Corte UE pone domande significative sul più ampio settore tecnologico, in quanto non solo sfida una particolare pratica commerciale, ma potenzialmente anche la strategia aziendale sottostante di Google di offrire servizi come Android (che non generano entrate) per guidare i consumatori verso servizi che Google può monetizzare, come la ricerca.
“Molte altre grandi aziende tecnologiche come Amazon e Meta adottano pratiche simili, producendo un ecosistema di servizi di cui solo alcuni sono a scopo di lucro ma che si rafforzano reciprocamente”, ha detto Meyers, osservando che sebbene le loro situazioni non siano direttamente comparabili, queste aziende terranno d’occhio i procedimenti in corso contro Google per non cadere vittime delle stesse accuse. Dopotutto, anche le regole dell’App Store di Apple, il marketplace e l’uso dei dati di Meta e le pratiche di vendita e mercato online di Amazon sono attualmente sotto inchiesta da parte della Vestager.
L’impatto della legge sui mercati digitali
Meyers ha affermato anche che per quanto riguarda l’appello di Google, le implicazioni ad ampio raggio della legge sui mercati digitali dell’UE sono forse più significative del risultato in quanto, anche se la Commissione avesse perso questo caso, il DMA è ancora destinato a forzare cambiamenti comportamentali per molte delle grandi piattaforme tecnologiche che operano all’interno dell’UE.
Approvato dal Parlamento europeo nel luglio 2022, il Digital Markets Act (DMA) consente una serie di azioni antitrust affrontando al contempo le questioni di interoperabilità. Queste includono il diritto di disinstallare il software sui dispositivi, maggiori controlli di accesso ai dati personali, una maggiore trasparenza pubblicitaria e l’interruzione di alcuni requisiti restrittivi dell’app store per gli sviluppatori. “Il DMA limita il modo in cui le grandi piattaforme tecnologiche possono integrare insieme i loro diversi servizi e garantirebbe che i consumatori abbiano “schermate di scelta” quando utilizzano per la prima volta i dispositivi mobili, piuttosto che iniziare con un motore di ricerca, un browser e un assistente virtuale predefiniti e preinstallati. Ciò ostacolerebbe gran parte di ciò che Google stava cercando di fare con gli accordi in questione in questo caso”, ha spiegato Meyers.
Tuttavia, vale la pena notare che le decisioni della Commissione UE in casi precedenti contro le big tech hanno raramente portato a cambiamenti significativi del mercato, almeno nel breve termine. Google non è nemmeno la prima azienda tecnologica quest’anno ad aver contestato una multa emessa dalla Commissione UE per violazioni antitrust. Nel gennaio 2022, infatti, Intel ha presentato con successo un ricorso contro una multa di 1,06 miliardi di euro emessa 12 anni fa per aver concesso sconti a Dell, HPE e Lenovo per aver acquistato i loro chip invece di quelli di AMD.
Per quel caso, i giudici hanno dichiarato: “L’analisi della Commissione Europea è incompleta e non consente di stabilire in modo giuridicamente sufficiente che gli sconti in questione fossero in grado di avere, o potessero avere, effetti anticoncorrenziali”. Lo stesso produttore di chip Qualcomm è riuscito a farsi annullare una multa di 997 milioni di euro imposta dalle autorità di regolamentazione dell’Unione Europea nel 2019. La multa era stata originariamente comminata dopo che la Commissione Europea aveva stabilito che tra il 2011 e il 2016 Qualcomm aveva pagato miliardi di dollari ad Apple affinché questa utilizzasse esclusivamente i chip Qualcomm in tutti gli iPhone e iPad: un atto che avrebbe infranto le leggi antitrust dell’UE.
Tuttavia, nel giugno 2022, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha rilevato che “una serie di irregolarità procedurali ha compromesso i diritti della difesa di Qualcomm”, invalidando in ultima analisi l’analisi della Commissione. Meyers ha detto che essendo questa la terza volta che una decisione in casi come questi è stata annullata, è chiaro che la Corte sta esaminando attentamente le decisioni della Commissione quando questa sostiene che gli exclusivity rebates sono anticoncorrenziali. La Corte rimane anche critica nei confronti dei processi e delle procedure della Commissione, affermando nella sua sentenza di questa settimana che in alcuni casi la Commissione non ha concesso a Google un’udienza equa: accusa mossa alla Commissione anche durante l’appello di Qualcomm.
Nonostante ciò, Meyers ha sottolineato che gli altri due argomenti portati avanti dalla Commissione contro le pratiche di Google sono stati ritenuti validi dalla Corte, ritenendo quindi improbabile che altre grandi aziende tecnologiche abbiano accolto con favore la sentenza della Corte.