Nata lo scorso gennaio dall’iniziativa dei soci fondatori Microsoft, Equinix Italia, Rai Way, Data4, Stack Infrastructure, Digital Realty, Vantage Data Centers e CBRE Data Centers, la Italian Data center Association (IDA) punta a rappresentare un settore poco conosciuto, ma che in Italia vale 5 miliardi di euro e occupa oltre 17mila addetti.

L’associazione ha tenuto il suo evento di inaugurazione ufficiale due settimane fa (ne abbiamo parlato qui) festeggiando il traguardo dei 50 associati, ai quali in questi giorni si aggiungeranno attori di primo piano come Amazon Web Services (AWS), Google Cloud (che ha appena aperto a Torino la sua seconda cloud region in Italia) e Noovle, la Cloud Company di TIM.

Con Emmanuel Becker, presidente di IDA (nonché AD di Equinix Italia) abbiamo parlato delle attività che l’associazione ha già in corso e dei suoi prossimi passi per promuovere il settore e ridurre le barriere all’entrata.

Quali sono i fronti su cui si sta muovendo IDA? Avete dei gruppi di lavoro già attivi?

ida data center Emmanuel Becker

Emmanuel Becker, Presidente di IDA e AD di Equinix Italia

Sì, abbiamo già un gruppo di lavoro attivo, dedicato alla sostenibilità. Poi in un meeting che terremo in questi giorni ne lanceremo altri due, uno su education e formazione, e uno sull’energia.

Pensiamo che la sostenibilità sia la priorità numero uno, non solo per IDA ma per il paese. Nel gruppo di lavoro c’è tanta partecipazione, di data center provider ma anche fornitori di tecnologie che lavorano nella value chain dell’energia. La prima cosa che stiamo facendo è l’assessment dello stato dell’arte delle politiche di sostenibilità nel mondo dei data center in Italia. Poi selezioneremo tra gli associati delle best practice che chiederemo di implementare a tutti. E successivamente cercheremo elementi per migliorarle ulteriormente nei prossimi tre anni, tenendo conto delle innovazioni tecnologiche e delle best practice di altri paesi.

Il gruppo di lavoro sulla sostenibilità presenterà un programma dettagliato appena sarà pronto: vorremmo fare una presentazione ufficiale alle autorità e ai media. L’Italia può diventare un campione di sostenibilità digitale, ha tutti gli elementi per farlo.

Secondo l’Osservatorio Data Center del Politecnico di Milano, tra i principali problemi per il settore in Italia c’è la poca consapevolezza negli enti pubblici sulle opportunità che offre. Concordate con questa analisi?

È vero, manca la consapevolezza di questo mercato, dell’impatto che ha già sull’economia italiana, e delle opportunità. Anche al nostro stesso evento di inaugurazione, quando abbiamo spiegato che i data center generano in Italia un mercato da 5 miliardi con 17mila addetti, molti si sono stupiti. Anche le autorità con cui interagiamo hanno un’idea degli impatti a livello locale, ma non a livello nazionale.

In diversi paesi europei la situazione è diversa: parlando con i colleghi di Eudca (European Datacenter Association, ndr) ci rendiamo conto del gap che c’è in Italia rispetto alla conoscenza dei data center nelle autorità e nel grande pubblico in Germania, Regno Unito, Francia o Paesi Bassi. Per questo una delle nostre missioni è appunto la diffusione della conoscenza di questo settore.

A quali interlocutori istituzionali vi rivolgete?

Quelli con cui al momento abbiamo interazioni più strette e continuative sono gli enti locali, i Comuni nei cui territori i data center ci sono già o sono in fase di progettazione o costruzione. Non sono molti per ora, perché come associazione siamo molto giovani.

A livello di Regioni abbiamo contatti con Lombardia, Piemonte, Liguria, Toscana. A livello di Governo ovviamente l’interlocutore principale è il sottosegretario all’innovazione Alessio Buti, poi abbiamo allacciato i primi contatti con i Ministeri più attinenti alle missioni che ci siamo dati, come quello dell’ambiente e sicurezza energetica, e quello per le imprese e il made in Italy. Quest’ultimo per il ruolo importante che le tecnologie digitali hanno nelle politiche di sostenibilità del settore manifatturiero. Poi c’è anche un altro tema importante, quello degli 8-10mila centri di calcolo e data center della PA in corso di razionalizzazione.

C’è qualche possibilità di coinvolgere in IDA anche Amazon Web Services e Google Cloud?

A dire la verità proprio questa settimana Amazon e Google dovrebbero essere presentati come nuovi membri al board, e quindi entrare come membri di IDA, così come Noovle, mentre Irideos è entrata proprio nei giorni del nostro evento inaugurale. Sono ottime notizie per IDA, che arruola altri attori di primo livello e può essere sempre più rappresentativa. Ciascuno di loro entra perché vuole portare un contributo alla trasformazione digitale del paese, all’efficientamento energetico, e alle best practice di sostenibilità.

Avete iniziative in programma per facilitare l’entrata di investitori e operatori di data center dall’estero?

Uno degli obiettivi di IDA è contribuire ad abbattere le principali barriere agli investimenti esteri su questo settore, che siano di operatori di data center o di XSP, cioè fornitori di servizi cloud, content, application, security, network.

Abbiamo attori che ci contattano per venire in Italia, come IDA ce ne risultano almeno una ventina. L’Italia come mercato è attraente per vari motivi. Primo è una potenza economica importante, e se c’è economia c’è digitale. Secondo: non è ancora avanzata nel digitale come dovrebbe, per cui offre opportunità che secondo me sono eccezionali. Terzo: si trova in una posizione geografica molto vantaggiosa, a contatto sia con paesi digitalmente molto sviluppati, sia con paesi in rapida crescita sotto questo profilo, che possono fare un salto di qualità grazie a collegamenti che passano per l’Italia: parlo dell’Africa mediterranea, del Medio Oriente, ma anche del Far East, per esempio l’India. Quindi occorre rimuovere le barriere all’ingresso.

Quali sono le principali barriere all’ingresso?

Una è l’iter burocratico di progettazione e costruzione delle strutture di data center. Se non si accorcia e non si rende univoco questo iter, gli operatori interessati possono rinunciare all’Italia e investire in paesi limitrofi, per esempio la Francia. Questo può costare loro qualche millisecondo di latenza in più, ma è un costo che può convenire pur di far partire un progetto in tempi brevi.

Altra barriera importante è il costo dell’energia. Come sappiamo il sistema di produzione dell’energia in Italia fino a pochi anni fa era largamente basato su fonti fossili di importazione, una situazione che con il quadro geopolitico di oggi ha fatto aumentare di molto il costo dell’energia. Costo che già prima della guerra in Ucraina era alto rispetto ad altri paesi, e poi è ulteriormente aumentato. Questo è un problema che riguarda moltissimi settori oltre ai data center, e conviene a tutti lavorare perché l’Italia sia più indipendente sulle fonti energetiche, con costi meno fluttuanti e possibilità di produrre più energia da fonti rinnovabili. E l’Italia ha molte opportunità su questo fronte.

Tirando le somme, come Italia non siamo ancora a rischio di non attrarre investimenti, ma dobbiamo stare molto attenti a migliorare su questi due fronti: la facilità di costruzione e il costo dell’energia.