La buona notizia è che il mercato digitale in Italia – ICT, contenuti digitali ed elettronica di consumo – nel 2019 crescerà per il quinto anno consecutivo (+2,5%) e continuerà a farlo anche nel 2020 e 2021 (+2,8% e +3,1% stimati), salendo dai 70,5 miliardi di euro del 2018 ai 76,5 miliardi di euro del 2021.

La cattiva notizia è che questa tendenza di adozione delle tecnologie digitali da parte di imprese e individui in Italia non ha ancora abbastanza impatto sull’economia reale, visto che il PIL nel 2018 è cresciuto dello 0,9% e nel 2019 se va bene arriverà a +0,3%. La crescita spontanea del mercato digitale non è sufficiente, occorre una politica industriale basata sul digitale che faccia ripartire anche l’economia complessiva del Paese.

Questo in sintesi il messaggio del rapporto Anitec-Assinform 2019 “Il digitale per crescere”, presentato stamattina all’Auditorium del Sole 24 Ore a Milano.

Software +6,3%, Servizi +6%, Digital Marketing +7%

Dal Rapporto emerge uno scenario in cui praticamente tutti i comparti del digitale – tranne i servizi di rete – confermano la tendenza positiva: tra il 2019 e il 2021 l’area Dispositivi e Sistemi crescerà a un tasso medio annuo dell’1,9%, quella delle Software e Soluzioni ICT del 6,3%, quella dei Servizi ICT del 6,1%, e quella dei Contenuti e Pubblicità Digitale del 7,2%. (qui altri dati)

Nell’intervento di benvenuto dell’evento Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, ha sottolineato il cinquantesimo compleanno del Rapporto (“quando è partito l’informatica era una nicchia per iniziati, oggi il digitale è il cuore strategico di tutti i settori economici”), e ha citato altri dati che dimostrano l’attuale stato di salute del settore in Italia, come il numero di imprese e quello degli addetti, saliti in tre anni rispettivamente da 107mila a 112mila e da 480mila a 512mila. Ma gran parte dell’intervento è stata una preoccupata sintesi dei fattori di ostacolo alla crescita dell’Italia attraverso la trasformazione digitale, che ha chiamato più volte in causa la politica.

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Mancano investimenti pubblici in R&S e competenze

“L’ecosistema dell’innovazione digitale è solido e cresce 5 volte di più dell’economia nazionale, un gap che si sta allargando in un contesto in cui la legge di bilancio conferma le misure per Impresa 4.0, già pesantemente penalizzate l’anno scorso, ma poi introduce provvedimenti come la plastic tax che aggrava del 110% i costi industriali di una filiera, invece di incoraggiarla a innovare per diventare più sostenibile”, ha detto Gay.

La trasformazione digitale, continua il presidente di Assinform, può essere la soluzione a molti dei problemi che affliggono gli altri settori economici, ma vanno risolti alcuni ostacoli che impediscono al settore ICT di rafforzarsi ed esercitare il ruolo strategico di traino dell’economia che ormai gli compete: primi tra tutti la scarsità di competenze digitali e quella degli investimenti pubblici nella ricerca e sviluppo ICT.

“Da circa un decennio questi investimenti, circa 2,2 miliardi di euro l’anno, sono per oltre l’80% autofinanziati dalle imprese, per il 13% circa dal resto del mondo e solo per il 6% dal settore pubblico: se prendiamo per esempio il Fondo per l’Innovazione, sono passati sette mesi dai primi annunci e solo ora si comincia a parlare di operatività”.

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Il cloud cresce del 22% annuo, l’AI del 50%

Giancarlo Capitani, presidente di NetConsulting cube, ha poi commentato più nello specifico alcuni indici di tendenza che emergono dal rapporto 2019. “Nel contesto di un andamento generalmente positivo del mercato digitale, le grandi imprese rappresentano oltre un terzo della spesa, mentre le piccole imprese solo il 13%: le piccole imprese vanno coinvolte nella digitalizzazione, altrimenti il paese non riparte”. Altre disparità nell’analisi per settori economici: “Industria, banche, distribuzione, servizi, assicurazioni, utility, investono molto in volume e con alti tassi di crescita, mentre la PA, sia locale che centrale, troppo poco”.

Le stime sull’andamento del mercato digitale, continua Capitani, si fermano al 2021 perché è in corso un cambiamento strutturale che rende difficili le previsioni, e cioè la forte espansione delle aree tecnologiche più innovative, ha detto Capitani, citando le quattro principali: il Cloud da qui al 2021 crescerà del 22% annuo raggiungendo 4,2 miliardi di euro, l’IoT del 14% annuo fino a 4,4 miliardi, la cybersecurity pure del 14% annuo fino a 1,5 miliardi, e Industria 4.0 quasi del 15% annuo fino a 4 miliardi.

“Ma l’area a più forte potenziale è l’AI, che cresce del 50% annuo: se ne parla spesso ma quasi rappresentandola in modo superficiale, e invece la sua caratteristica più importante è la pervasività, nel senso che impatterà su tutte le principali funzioni aziendali – corporate, operations, vendite, marketing – trasformandole radicalmente”.

La crescita spontanea del mercato digitale però non è sufficiente, ha concluso Capitani, perché è sul digitale che vanno fondate le politiche industriali del paese e la sua ripresa economica. “Questo presuppone alcune condizioni: occorre “fertilizzare” la digitalizzazione di tutto il paese attraverso la digitalizzazione della PA, non banalizzare il 5G perché non è solo pura infrastruttura di telecomunicazioni più efficiente e veloce, sostenere la crescita soprattutto delle startup e delle fintech, aumentare la consapevolezza che chi innova cresce più degli altri, e che i settori economici si stanno trasformando in filiere produttive intersettoriali integrate attraverso le tecnologie digitali”.