Vodafone Italia ritira i 1000 licenziamenti. Il punto su WindTre, Ericsson e BT Italia

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L’ipotesi di accordo con i sindacati prevede solidarietà per 12 mesi, riqualificazione per 300 lavoratori e incentivi all’esodo. Intanto vanno avanti con alterne vicende le altre vertenze nelle tlc italiane

Dopo una lunga trattativa tra Vodafone Italia e i sindacati, le parti hanno trovato un accordo che prevede il ritiro della procedura di licenziamento avviata dall’azienda lo scorso aprile per ridurre il personale di circa 1000 unità (più precisamente 1003 lavoratrici e lavoratori, ne avevamo parlato qui).

Lo annunciano una nota delle Segreterie Nazionali di SLC CGIL, FISTEL CISL, e UILCOM UIL, e un comunicato di Vodafone.

Questa ipotesi di accordo dovrà essere approvata da un’assemblea dei lavoratori che si terrà il prossimo 21 giugno, e prevede un mix di ammortizzatori sociali (contratti di solidarietà) per un anno (prorogabile di ulteriori 6 mesi), prepensionamenti, corsi di riqualificazione professionale, e incentivi all’esodo volontario.

Solidarietà fino al 25% nei call center

Più precisamente, specifica la nota, la solidarietà è prevista dal prossimo 1 luglio al 30 giugno 2024, cioè per un anno, prorogabile di ulteriori 6 mesi tramite accordo con i sindacati: per il settore call center è previsto fino al 25%, per gli altri reparti al 5%, mentre sono esclusi dalla solidarietà i reparti di IT, VBI (Sales, Presales in presidio sui territori).

A titolo di compensazione per la perdita salariale derivante dalla solidarietà, ai lavoratori sarà riconosciuta una integrazione al 100% per le giornate di formazione, con integrazione anche sul rateo di tredicesima; ticket restaurant per tutte le giornate; premio di risultato per intero con azzeramento dell’impatto dell’ammortizzatore.

I dipendenti interessati dal 25% di riduzione dell’orario di lavoro, aggiunge Vodafone, saranno inoltre coinvolti in percorsi formativi su temi come Customer Centricity, Data Analytics e strumenti di collaborazione.

Riqualificazione: coinvolti 300 lavoratori per reinternalizzare attività e coprire posizioni vacanti

A proposito di formazione, il programma di riqualificazione accennato come spiegano i sindacati prevede un importante investimento formativo che interesserà 300 lavoratrici e lavoratori in 30 mesi, di cui 200 saranno coinvolti nel 2024 e 100 nel 2025. Il processo terminerà entro il 31 dicembre 2025 e fa parte di un sistema integrato di reinternalizzazione di attività attualmente in outsourcing, e di copertura delle posizioni vacanti attraverso la valorizzazione delle professionalità interne.

Sono poi previsti dei prepensionamenti per 50 lavoratrici e lavoratori: se dovessero raggiungere il requisito pensionistico fino al 31 marzo 2029, spiega la nota, potranno accedere allo scivolo pensionistico quinquennale previsto dall’art. 4 L92/2012, con un ulteriore contributo aziendale forfettario di 3 mila euro per ciascun anno di isopensione.

Infine l’accordo comprende una vasta casistica di incentivi all’esodo volontario, suddivisi per reparto, età anagrafica e anzianità aziendale, e data di uscita.

Incentivi all’esodo fino a 48 mensilità più 38mila euro

Per il settore Call Center per esempio si va da 48 mensilità + 38mila euro, non riproporzionate in funzione della percentuale di part-time, per uscite previste entro il 31 luglio, a 24 mensilità per uscite previste entro il 30 ottobre.

Per altri reparti si va dalle 24-48 mensilità (in funzione di età e anzianità di servizio secondo la tabella riportata nell’accordo) più 35 mila euro per chi accetta di uscire entro il 31 luglio, a 9-24 mensilità (in funzione di età e anzianità di servizio, secondo la tabella riportata nell’accordo) per uscite previste entro il 30 ottobre.

Questa ipotesi di accordo, sottolineano i sindacati, è frutto di un lungo confronto, in un contesto complicato di settore, con una procedura di riduzione del personale che interessava il 20% del personale aziendale. “Una intesa, sicuramente di carattere difensivo, che ha visto la delegazione sindacale impegnata prioritariamente a scongiurare un esito drammatico in assenza di accordo”.

Il tentativo di puntare sulla riqualificazione professionale, trasformando le competenze dei lavoratori verso le nuove attività che il mercato e la digitalizzazione richiedono, è la dimostrazione che la contrattazione debba essere lo strumento cardine per accompagnare i percorsi di trasformazione del settore delle telecomunicazioni, si legge nella nota sindacale.

Le altre vertenze: si complica quella di WindTre

Settore che come abbiamo già scritto in Italia è interessato al momento da diversi stati di crisi – che hanno spinto i sindacati a dichiarare una giornata di sciopero nazionale lo scorso 6 giugno (nella foto, fonte: SLC Cgil/Matteo Oi) – con vertenze che, a quanto riportano i sindacati, non stanno tutte andando verso un esito positivo come quella di Vodafone.

In quella di WindTre per esempio una nota sindacale dai toni molto duri riferisce dell’intenzione dell’azienda di proporre unilateralmente ai lavoratori un importo di entità imprecisata che verrà erogato a chi rinuncerà a ogni impugnativa sul passaggio alla costituenda “Netco di rete”, cioè la nuova società costituita con il fondo EQT Infrastructure a cui verranno conferite le infrastrutture di rete mobile fissa e relativi servizi wholesale dell’operatore telefonico italiano WindTre3 (ne abbiamo scritto qui).

Accettazione che però dovrà essere comunicata entro il 30 settembre 2023, “cioè mesi prima rispetto a un ipotetico trasferimento di ramo d’azienda non ancora autorizzato”. Ma se non si raggiungerà un numero minimo di accettazioni, si legge nella nota, non sarà riconosciuto alcun importo e non ci saranno garanzie occupazionali.

Cosa che fa parlare il sindacato di “sadico meccanismo, per cui, se non venissero raggiunti gli obiettivi numerici di accettazione prefissati (obiettivi non dichiarati al tavolo, forse perché coperti da segreto aziendale), il conferimento degli asset e dei lavoratori alla Netco non avverrebbe totalmente entro il 2023, ma sarebbe realizzato in due tranche: da subito verrebbero trasferiti gli asset e un numero variabile tra i 200 e i 500 lavoratori, e dopo 18 mesi circa il restante personale”.

BT Italia ed Ericsson

Quanto a BT Italia, è in corso un duro confronto sulla procedura di licenziamento di 128 lavoratori avviata lo scorso aprile. Secondo quanto riferiscono i sindacati, al momento l’azienda si è dichiarata disponibile a valutare la cassa integrazione per crisi per 6 mesi (1 luglio-31 dicembre), con incentivi all’esodo volontario, per poi procedere, al termine della cigs, con i licenziamenti coatti se non fosse raggiunto il numero di 128 uscite. I sindacati hanno aperto all’utilizzo della cassa integrazione e al sistema di incentivazione all’esodo in cambio però della chiusura definitiva della procedura di licenziamento.

Infine in Ericsson è stata chiusa la procedura di licenziamento per 134 persone, ed è stato aperto un articolato sistema di incentivazione all’esodo che va da 48 mensilità più 15mila euro per chi aderisce entro il 31 luglio a 34 mensilità per chi aderisce a partire dall’1 settembre con uscita il 31 dicembre.

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Gli MSP italiani crescono ancora in fatturato, dimensioni e clienti

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Il 43% supera il milione di euro, uno su 2 gestisce oltre 100 clienti, 2 su 3 hanno aumentato fatturato e margini nel 2022: ritratto di un mercato in salute nel report MSP 2023 di Achab

I Managed Service Provider (MSP) italiani continuano a crescere, sia come dimensioni aziendali che come entrate: il 43% supera il milione di euro di fatturato, mentre le microimprese sotto i 5 dipendenti scendono al 37%. Ormai praticamente uno su due gestisce più di 100 clienti, e il 55% gestisce un parco macchine di più di 500 endpoint, soglia critica tra l’approccio “artigianale” dei servizi gestiti IT e quello strutturato.

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Ma soprattutto il 63% ha aumentato il fatturato nel 2022 (solo il 3% l’ha visto diminuire), e il 68% ha aumentato il margine: uno su tre di più del 20%. E il 73% si aspetta di aumentare il fatturato anche quest’anno.

Il Report MSP 2023 di Achab, quinta edizione dell’indagine annuale del distributore milanese, specializzato appunto su questo tipo di clienti, restituisce un’immagine in piena salute degli MSP italiani, anche se alle prese con le tipiche criticità di un mercato ancora poco sviluppato in Italia, e di uno scenario tecnologico e macroeconomico molto complesso.

“Gli MSP italiani sono aziende medie e piccole, il successo le spinge a strutturarsi”

“Dalle risposte raccolte, circa 300, emerge che in Italia il mercato di chi eroga servizi IT è composto da realtà medio piccole, come peraltro tutto il tessuto imprenditoriale. E questo si riflette sia nel modello di business sia nelle tariffe applicate. Il trend però è che sempre più operatori del settore si stanno muovendo verso il modello MSP, il che sta portando queste aziende a strutturarsi meglio”, ha commentato Andrea Veca, managing director di Achab, presentando il report alla stampa.

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“L’identikit del MSP italiano che esce dall’indagine è quello di una realtà che ha abbandonato il modello di business reattivo break/fix (17%) in favore di un modello che prevede l’erogazione di servizi IT gestiti a fronte del pagamento di canoni ricorrenti (72%), ha aggiunto Claudio Panerai, Chief Portfolio Officer di Achab.

Una realtà che propone contratti prevalentemente annuali (70%), facendo interventi in loco solo come eccezioni extra contratto (per tariffe orarie tra 46 e 60 euro), e per il resto erogando i servizi attraverso sistemi di controllo remoto, piattaforme RMM, e ticketing per la gestione dell’help desk (70%), e gestendosi attraverso sistemi PSA (Professional Software Automation), cioè gli ERP dei fornitori di servizi.

Eppure una realtà, come già accennato, ancora dimensionalmente piccola: mediamente fattura meno di 3 milioni di euro, ha meno di 10 addetti, e tra 50 e 100 clienti. Una situazione che, dato lo scenario e le incertezze del mercato, favorisce fusioni e acquisizioni: il 52% sta acquisendo altre realtà, o facendosi acquisire, o sta pensando a una soluzione di questo tipo.

Le principali sfide: trovare bravi tecnici, introdurre efficienza, generare lead

Le piccole dimensioni spiegano anche le principali sfide che gli MSP italiani percepiscono in questo momento: in ambito HR trovare bravi tecnici, nella gestione interna rendere più efficiente l’azienda, nel customer service la mancanza di omogeneità della qualità del servizio erogato, nel rapporto con i vendor i tempi di risposta lunghi, e nell’area marketing e vendite generare lead e ridurre i tempi della preparazione delle offerte.

“In realtà un problema nel marketing è anche la carenza di investimenti”, sottolinea Panerai. “Non tutti hanno istituito un’attività organica di lead generation, il 16% addirittura non fa nessuna attività, e oltre il 40% destina l’1% o meno del fatturato al marketing”.

Una considerazione a parte anche per il tema cybersecurity: il 46% indica la mancanza di consapevolezza dei clienti come il principale problema in questo campo, il 42% ha avuto clienti vittime di attacchi ransomware nel 2022, e il 72% ha avuto clienti colpiti da phishing, spear phishing o Business Email Compromise (BEC): di questi ultimi il 24% ha subito perdite di almeno 10.000 euro.

I servizi offerti dagli MSP italiani e le tariffe

Il report dedica poi un’ampia sezione all’analisi dei tipi di servizi offerti dagli MSP italiani e delle relative tariffe: gestione server e pc, antivirus, firewall, backup e DR, email, sicurezza email, vulnerability assessment, VoIP, network management (NMM), e servizi avanzati di cybersecurity: EDR, MDR e managed SOC.

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Per quanto riguarda server e pc per esempio molti MSP hanno alzato i canoni rispetto all’anno scorso, non solo per l’aumentata complessità di gestione ma anche per l’aumentata percezione del valore del proprio servizio. Il 71% degli MSP eroga un servizio di gestione server, per tariffe che nel 54% dei casi superano i 50 euro a postazione, mentre l’85% offre un servizio di gestione pc/notebook, per tariffe che in oltre il 60% dei casi superano i 10 euro a postazione.

Passando alla sicurezza, il 99% offre un servizio di antivirus, per tariffe che in quasi 8 MSP su 10 sono nella fascia 2-5 euro a postazione, mentre l’87% offre un servizio di firewall. Più basse ovviamente le percentuali di chi offre servizi avanzati: il 63% degli MSP propone l’EDR con tariffe medie fra 3,5 e 5 euro, mentre il 22% eroga servizi MDR, e il 78% di chi lo propone lo offre a un prezzo inferiore ai 10 euro per postazione, e solo il 12% propone servizi SOC, mentre aumentano dal 12% al 20% quelli che offrono servizi di zero trust.

Infine un accenno al backup e disaster recovery: l’88% degli MSP italiani offre servizi di questo tipo, con forti differenze di tariffe legate ai diversi livelli di servizio, alla possibilità e velocità di recupero dei dati o di ripartenza di sistemi non indisponibili. Fra chi offre il servizio, la maggior parte si fa pagare meno di 70 euro al mese.

“Diventare MSSP? Scelta egregia se la si fa bene”

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Achab ha presentato la ricerca MSP 2023 in concomitanza con il suo evento MSP Day, tenutosi nei giorni scorsi a Riccione: “È la sesta edizione, la quarta in presenza, abbiamo 36 sponsor e ci aspettiamo 400 persone”, ha detto Veca.

Numeri che dimostrano che – pur con ritardo rispetto ad altri paesi – c’è sempre più interesse anche in Italia per il modello MSP, ha concluso il managing director di Achab, perché negli ultimi anni gli IT service provider che lo hanno scelto hanno visto aumentare fatturato, margini, numero di clienti gestiti e dimensioni aziendali.

“Gli MSP sono in continua evoluzione: ora molti vogliono diventare MSSP (managed security service provider), scelta egregia se la si fa bene, perché c’è una differenza sostanziale tra servizi infrastrutturali e servizi di sicurezza, che richiedono un presidio h24. È una scelta da fare attentamente, considerando anche l’opportunità di fare partnership”.

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