Come cambiano gli investimenti IT italiani nell’era del “paradosso dei dati”

Come cambiano gli investimenti IT italiani nell’era del “paradosso dei dati”
Continua la crescita di Dell Technologies in Italia, con grandi opportunità per il canale, specialmente nell'IT-as-a-service

“Siamo all’alba della più grossa trasformazione economica della storia, che porterà tutti i business a essere caratterizzati da forti fondamenta digitali”. Non usa mezzi termini Filippo Ligresti, VP e General Manager di Dell Technologies Italia nel descrivere la situazione attuale dal punto di vista dell’azienda durante un incontro con la stampa in occasione del recente Dell Technologies Forum Italia.

Per Ligresti, accanto a tanti lutti e problemi, la pandemia ha prodotto un lascito importante: il digitale, un tempo considerato solo un costo da troppi imprenditori delle medie imprese, è ora al centro della discussione e orienta investimenti e prospettive di sviluppo.

Filippo Ligresti - General Manager e VP Dell Technologies ItalyDopo la gestione dell’emergenza, in cui le aziende hanno dovuto attrezzarsi velocemente per il lavoro da remoto acquistando pc, infrastrutture per collegamenti VPN e applicazioni per comunicazione e condivisione (contingenza che ha reso il 2020 l’anno migliore della storia di Dell Technologies per prestazioni), gli imprenditori guardano ora al digitale come fattore abilitante per il business del futuro.

Gli investimenti cambiano di conseguenza in direzione della creazione di postazioni di lavoro remoto più consone a un utilizzo regolare e non emergenziale, per esempio rispettando le norme in materia di salute sul lavoro, e delle infrastrutture critiche necessarie per abilitare la digital economy. In primo luogo del cloud, che “è sicuramente cresciuto molto, ma nella realtà solo un numero molto limitato di aziende è riuscito a fare al proprio interno i passi necessari a sfruttare questa opportunità”, commenta Ligresti.

Non basta insomma spostare i carichi di lavoro in cloud con una migrazione “lift and shift”, ma è necessario ridisegnare le applicazioni in ottica moderna, sfruttando le odierne tecnologie che consentono di trarre dal cloud il massimo del vantaggio (container e microservizi, per esempio).

Il paradosso dei dati: risorsa o costo?

Il rischio di un’implementazione sbagliata delle architetture è quello di un aumento della complessità e un’esplosione dei costi, in particolare per lo storage. È quanto emerge dallo studio Unveiling Data Challenges Afflicting Businesses Around The World commissionato da Dell Technology a Forrester Consulting: studio che evidenzia le difficoltà che le aziende stanno incontrando nel gestire i dati, in continuo aumento, e trarre da essi il valore che si aspettano. Alcuni dati:

  • Più del 70% delle aziende italiane ha difficoltà a raccogliere, analizzare i dati e prendere decisioni basate su di essi;
  • Il 40% non riesce a trarre valore dal dato a causa della mancanza di personale con competenze di data science;
  • Il 45% delle aziende non è riuscito a raggiungere i propri obiettivi di digitalizzazione.

Una volta tanto, la situazione italiana non è così diversa dal resto d’Europa e dei paesi sviluppati, ma è una magra consolazione. “In questo quadro, emerge che molte aziende operano con una percezione che non corrisponde pienamente alla realtà. Ci sono aziende che ritengono di essere data-driven, ma poi non massimizzano questi dati come vero capitale aziendale e non danno priorità all’uso dei dati in tutta l’organizzazione. Altre realtà, che dispongono già oggi di una mole di dati maggiore rispetto alla loro capacità di gestione, realizzano che il business richiede un ulteriore set di dati”.

 Infine, molte aziende riconoscono e credono nei vantaggi di un modello operativo as-a-service, ma solo un numero esiguo di esse ha compiuto i passi necessari per integrarlo. È chiaro che le aziende necessitano di una strategia efficace per la gestione dei dati e per affrontare questi paradossi. Questo sarà possibile solo grazie a un approccio integrato che tenga conto della necessità di finalizzare il proprio percorso di trasformazione digitale”, afferma Ligresti.

Detto ciò, ci sono prospettive incoraggianti per il futuro e opportunità per tutto il canale di vendita indiretta, che rappresenta l’80% del fatturato italiano di Dell Technologies: secondo la ricerca Forrester, nei prossimi tre anni le aziende italiane aumenteranno del 65% gli investimenti in IT. Investimenti che potrebbero orientarsi anche verso un modello di infrastruttura as-a-service, pagato in base al consumo, come l’offerta Dell Apex che Dell ha cominciato a proporre anche sul mercato italiano.

L’evoluzione del canale IT in Italia

Adolfo Dell'Erba, Channel Director Southern Europe di Dell.jpg

Adolfo Dell’Erba, Channel Director Southern Europe di Dell.jpg

“Per il canale ICT italiano è stato un periodo di forte dinamismo, caratterizzato da acquisizioni, fusioni e anche quotazioni in borsa di grandi player”, sottolinea Adolfo Dell’Erba, Channel Director Southern EuropeDell.

Questi trend sono solitamente segno di una maturazione del mercato e di un aumento di sofisticazione della domanda, che si sposta verso progetti complessi che richiedono fornitori più grandi.

In ogni caso, “abbiamo visto nel primo semestre del 2021 una crescita distribuita su tutte le componenti del canale: distributori, system integrator e rivenditori – prosegue Dell’Erba – e le opportunità non sono finite, grazie alla possibilità di espandersi in segmenti emergenti, come l’Edge computing o il modello IT as-a-service, e agli investimenti che saranno spinti dal PNRR, dove Dell può avere un importante ruolo sociale. Ci stiamo infatti attrezzando con forti investimenti per rafforzare il team interno che segue i progetti della pubblica amministrazione”. 

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Le startup e PMI innovative dell’ICT crescono e generano ritorni più alti delle non-ICT

startup
Le performance economiche migliori sono nei segmenti IA, blockchain, cybersecurity, digital solutions: l'analisi di Anitec-Assinform e InfoCamere

Nonostante la crisi economica provocata dal Covid-19 le startup e PMI innovative riconducibili al settore ICT in Italia continuano a crescere come numero, e generano più valore aggiunto e maggiori ritorni d’investimento sul capitale rispetto alle startup e PMI innovative non attive nell’ICT.

Sono i responsi principali della ricerca “Startup e PMI innovative ICT: performance economica” di Anitec-Assinform e InfoCamere, presentata oggi.

Più specificamente, all’inizio di ottobre 2021 le startup e PMI innovative ICT iscritte all’apposita sezione speciale del Registro delle Imprese erano 7749, in aumento del 16,3% rispetto alle 6663 di fine febbraio 2021, e rimangono circa la metà (49%) del totale di startup e PMI innovative italiane.

I ricercatori hanno classificato queste 7749 realtà in 4 gruppi: nel gruppo “Digital Enabler” le realtà più numerose sono quelle di AI e Machine Learning (721) seguite dalle specialiste di Mobile App (538). Nel gruppo “4.0” ci sono 715 specialiste di IoT, 258 di Industria 4.0 e 53 di Automation. Nel gruppo “altre tecnologie ICT e soluzioni digitali” ci sono 725 specialiste di digital solution, 343 di e-commerce, e 81 di crowdfunding. Infine nel gruppo “ICT non specificato” le più numerose sono le realtà di hardware e software (1046) seguite da quelle di technology (697).

startup pmi innovative

Fonte: Anitec-Assinform, Infocamere

Alle tipiche caratteristiche delle startup e PMI innovative richieste dalla normativa – forte attitudine a digitale e smart working, forte velocità e flessibilità nell’adattarsi ai cambiamenti del mercato, ottimi livelli di competenze tecniche e IT – quelle del settore ICT uniscono anche il perdurare di un forte potenziale di mercato soprattutto per le soluzioni digitali che supportano le attività durante i lockdown: didattica e lavoro a distanza, e-commerce, attività sociali, sostegno all’emergenza sanitaria. Dinamiche ulteriormente positive, spiegano i ricercatori, emergono per le startup e PMI innovative in ambito IA, blockchain, cybersecurity, digital solutions.

Valore di produzione medio: 263mila euro

Complessivamente le 4537 startup e PMI innovative ICT con bilancio depositato hanno prodotto nel 2020 beni e servizi per un totale di 1,2 miliardi di euro, contro complessivi 1,5 miliardi di euro delle 4863 startup e PMI innovative non-ICT.

Il valore della produzione medio per startup e PMI innovativa ICT nel 2020 è di 263.300 euro (contro 310.600 euro per startup e PMI non-ICT), ma con valori medi più alti per il segmento impresa 4.0 (300.500 euro).

Gli indicatori di produttività confermano che la ricerca di vantaggio competitivo in mercati molto innovativi e tecnologicamente avanzati si traduce in livelli più alti di produttività, con medie superiori nei filoni di attività 4.0 e altre tecnologie digitali, anche se complessivamente restano inferiori a quelle di startup e PMI innovative nei settori non ICT, probabilmente a causa di tempi più lunghi di accesso ai mercati innovativi ad alto contenuto tecnologico e di una quota maggiore di startup innovative in fase embrionale di sviluppo.

Nell’ICT più valore aggiunto ma meno remunerazione iniziale

Complessivamente nel 2020 per ogni euro di produzione, le PMI e startup innovative ICT hanno generato 33,8 centesimi di valore aggiunto contro 22,2 centesimi nel segmento non-ICT. Tuttavia, anche a causa dei maggiori costi per addetto, gli indicatori di profittabilità sono meno remunerativi nel settore ICT rispetto al settore non-ICT almeno nei primi anni di attività di startup e PMI innovative. L’incidenza maggiore dei livelli di perdita rispetto ai segmenti non-ICT conferma la necessità fisiologica di tempi più lunghi di accesso al mercato per startup e PMI innovative ICT, soprattutto nei filoni di attività legati al digitale.

Le 4537 startup e PMI innovative ICT con bilancio 2020 depositato hanno generato valore aggiunto per 406 milioni di euro, un valore superiore ai 332,8 milioni del segmento non-ICT.

Le stesse differenze, ma ancora più marcate, si verificano a livello di valore aggiunto per addetto (21,8 mila euro di media nel segmento ICT contro 11,2 mila euro di media nel segmento non ICT), a conferma dell’elevato grado di conoscenza e competenze applicate nel segmento ICT. Nettamente più positivi i risultati delle startup e PMI innovative ICT con un valore complessivo di 18 Milioni di euro di MOL rispetto a quelle non ICT che registrano un MOL negativo di -27,8 milioni di euro. Una sostanziale parità di risultati e di capacità di autofinanziamento tra settore ICT e non-ICT è rilevabile anche dal MOL rapportato al valore dei ricavi.

Passando alla redditività del patrimonio netto ovvero il ritorno economico dell’investimento effettuato dai soci dell’azienda, almeno il 50% delle startup e PMI innovative ICT registra stabilmente negli ultimi tre anni un valore pari o superiore all’1,1%.

Fonte: Anitec-Assinform, Infocamere

Fonte: Anitec-Assinform, Infocamere

Startup ICT, la sostenibilità finanziaria migliora con l’età

Gli indicatori finanziari – da quelli di equilibrio finanziario a quelli di rotazione degli asset a quelli sul potenziale delle risorse di generare valore lungo un arco temporale di più esercizi – confermano come l’apparente squilibrio finanziario iniziale di molte startup e PMI innovative ICT sia compensato con il consolidarsi delle attività dopo la fase iniziale.

Le startup e PMI innovative ICT registrano un indice mediano di liquidità corrente pari a 1,6 (1,4 nel segmento non ICT) e medio di 9,4 (17,5 nel segmento non-ICT). Il rapporto tra debiti (o mezzi di terzi) e mezzi propri di startup e PMI innovative ICT registra un valore mediano di 0,8 (1,0 settore non-ICT) ovvero appena sopra i livelli di equilibrio “limite”, confermati anche nel tempo per le società con bilanci depositati nel periodo 2018-2020.

Una seconda caratteristica distintiva di startup e PMI innovative è l’alto valore delle risorse immateriali (soprattutto brevetti, marchi, avviamento) che partecipano al raggiungimento del vantaggio competitivo aziendale.

“Questi dati dimostrano la vitalità del segmento delle startup e delle PMI innovative ICT”, ha commentato Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform. “Certamente il PNRR fornirà un contributo importante alla crescita di questo segmento di imprese, cui peraltro affida un ruolo da protagonista per l’attuazione della missione 1 relativa alla digitalizzazione di PA e imprese. Coinvolgere start up e PMI innovative nei grandi progetti del PNRR consente, infatti, di attivare un meccanismo virtuoso nell’ottica di sviluppare il mercato del venture capital e sostenere l’afflusso di capitali di rischio”.

“Nel quadro generale di ripresa dell’economia italiana, l’ecosistema delle startup e PMI innovative si conferma un organismo vitale, capace di cogliere le opportunità offerte dalla spinta verso il digitale. Grazie ai dati del Registro delle Imprese riusciamo a seguirne da vicino le performance, i comportamenti e le scelte per agevolare la loro conoscenza da parte di decisori pubblici e operatori di mercato, favorendone così le possibilità di sviluppo”, ha aggiunto Paolo Ghezzi, Direttore Generale di InfoCamere.

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