Il Cloud italiano vale 5,5 miliardi (+19%), ma l’aumento dei costi apre una nuova fase
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Il cloud non è gratis. Tutt’altro. Anzi, alcune volte ha costi che addirittura superano l’on premise. Tuttavia, può permettere economie di scala, automazioni e, più in generale, efficientamenti che l’on premise non consente. E questo lo rende uno strumento strategico a cui le aziende ricorrono sempre più spesso.
Però è uno strumento che va approcciato con adeguate cautela e preparazione, sia sul versante della cultura aziendale sia su quello dei costi, pena poi la necessità di ricorrere alla repatriation, come sta avvenendo per alcune aziende.
La preparazione tecnologica delle aziende a migrare in cloud, e, soprattutto, a saper chiaramente definire i costi e gestirli sono stati tra i temi centrali nella presentazione dell’annuale report dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano.
Il cloud in Italia in numeri
I numeri indicano che nel 2022 in Italia il mercato del cloud è cresciuto del 20%, con 3 punti percentuali ascrivibili direttamente all’inflazione. Questa crescita ha portato a raggiungere un giro d’affari globale di 4,62 miliardi di euro, addirittura meglio di quanto preventivato dall’Osservatorio lo scorso anno.
A fornire le migliori performance è stato il mercato del public e hybrid cloud, che ha totalizzato 3 miliardi di euro mettendo a segno un aumento del 24%. Evidentemente il travagliato periodo economico e l’inflazione non hanno rallentato la spesa per il cloud delle imprese (soprattutto quelle di più grandi dimensioni), sottolinea l’Osservatorio del Politecnico. Inoltre, i crescenti investimenti degli hyperscaler nell’ambito dei data center sono una chiara dimostrazione della crescita della domanda per i servizi cloud.
Essendo poi praticamente alla fine del 2023, l’Osservatorio stima anche una previsione del mercato cloud italiano per il 2023: la spesa sarà di 5,51 miliardi di euro, con un aumento del 19%. Per il public e hybrid cloud è previsto un aumento ancora del 24% (fino a 3,729 miliardi di euro).
In questo segmento sarà l’IaaS a realizzare la migliore performance: 1,511 miliardi di euro (+29% rispetto al 2022). Questo le permetterà di rappresentare il 41% del settore, ovvero una porzione di mercato praticamente identica a quella che dovrebbe ottenere il SaaS (1,532 miliardi di euro, +19%), tradizionalmente l’insieme dei servizi più diffusi.
E che può avvalersi di un’incentivazione all’uso dovuta la fatto che “l’offerta dei vendor si sposta sempre più verso modelli in qualche modo legati al cloud – ha precisato Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio–, soprattutto per quanto riguarda i servizi gestionali offerti alle organizzazioni. A ciò si affiancano l’utilizzo e la sperimentazione di AI e analytics a livello software. Alcune applicazioni in una successiva fase vengono internalizzate. Infine, ovviamente c’è un interesse in continua crescita per le dinamiche e i temi della cyber security”.
Il PaaS dovrebbe realizzare in percentuale la crescita maggiore (+27%), ma in termini di giro d’affari questo comporterà il raggiungimento “solo” di 686 milioni di euro.
Ancora limitate le PMI
L’Osservatorio Cloud Transformation si è spinto anche più in profondità nella sua analisi, identificando come fattori fondanti per la crescita dell’IaaS il Container Management e le Virtual Machine. Il primo trova motivazione nella progressiva necessità di guadagnare maggiore efficienza e dinamicità nella gestione dei workload aziendali in cloud. Le Virtual Machine, invece, rappresentano lo strumento in grado di abilitare lo sviluppo e la sperimentazione di nuovi servizi digitali, primo fra tutti l’AI generativa.
“Le aziende – ha sostenuto Piva – si focalizzano soprattutto sull’evoluzione dalle progettualità sperimentali che vanno poi in produzione, sullo sfruttamento di elementi di scalabilità e sulla ricerca di una maggiore efficienza, selezionando di volta in volta i servizi più convenienti ma creando le condizioni di maggiore flessibilità attraverso l’uso di container”.
Il mercato del cloud in Italia è per l’87% appannaggio delle grandi imprese, che, come precisa il report, “hanno raggiunto una consapevolezza sulla necessità di investire non solo verso l’adozione di nuovi servizi digitali, ma anche verso il consolidamento di quelli esistenti”.
Seppure ancora limitato, l’interesse delle PMI per il cloud si dimostra comunque in crescita. In virtù, soprattutto, di iniziative come i fondi del PNRR, la spesa per il cloud nel 2023 cresce del 34% rispetto al 2022 e raggiunge i 478 milioni.
Non è una reale trasformazione cloud-enabled
Questi sono i numeri, che a una prima veloce analisi lasciano trasparire come sia in atto una veloce adozione del cloud e, quindi, abbia assunto un importante ruolo, soprattutto per le grandi organizzazioni. Si può però parlare di reale trasformazione cloud-enabled? A questa domanda gli Osservatori rispondono un deciso no. Questo perché, dopo un primo periodo in cui ha prevalso un sostanziale lift & shift secondo varie forme, ora le aziende stanno prendendo familiarità con il cloud e stanno iniziando a maturare una nuova consapevolezza: non è possibile ottenere dal cloud tutti i suoi benefici potenziali, se oltre all’infrastruttura tecnologica non si adatta al cloud anche tutta l’azienda.
Una transizione frettolosa
In pratica, nella migrazione al cloud sinora le organizzazioni hanno focalizzato l’attenzione sull’aspetto tecnologico, che è molto importante ma è solo una parte di quanto è richiesto per operare una vera cloud transformation. Così ora, che è il momento della nuova consapevolezza, bisogna riuscire a capire se si è davvero in grado di gestire anche tutti gli aspetti che vanno oltre la tecnologia, come l’ottimizzazione dei costi e delle risorse.
Mentre qualcuno getta la spugna e segue la via della repatriation, il 65% delle grande imprese dichiara invece di volersi porre come priorità assoluta per i prossimi 12 mesi la governance degli asset e il la gestione delle finanze. È l’implicita ammissione di aver intrapreso la strada del cloud un po’ troppo frettolosamente, senza modernizzare il portafoglio applicativo, senza creare nuovi meccanismi di governance e senza operare un adeguato cambiamento culturale come richiede una vera cloud transformation. Prova ne è che il 73% delle aziende gestisce le risorse e i costi nel cloud secondo le logiche dell’on premise, mentre il 63% misura l’apporto del cloud alle proprie attività in funzione dei risparmi sui costi che permette di avere rispetto all’on premise.
Così accade che la mancanza di un adeguamento alle logiche del cloud della gestione del finance comporti che il 54% degli intervistati dall’Osservatorio dichiari di avere superato il budget stanziato a inizio anno per il cloud.
La lunga strada che porta ai FinOps
Va da sé che l’adozione di FinOps e la revisione dei processi di gestione dei budget IT potrebbero rappresentare un passo decisivo per iniziare a sperimentare nuove modalità di lavoro tra business e direzione IT. Al momento, però, solo il 5% delle aziende sta già operando secondo le pratiche FinOps, il 21% si sta muovendo in tale direzione lavorando soprattutto sull’uso dei tool tecnologici. “Si parte sempre dagli strumenti e dalle tecnologie, spesso dimenticandosi che quello che poi fa la differenza sono la consapevolezza e le competenze delle persone – ha sostenuto Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio –. L’acquisizione di nuove competenze, sapendo poi come mantenerle all’interno dell’azienda, e l’adeguamento organizzativo al cloud comportano una revisione globale dei processi interni”.
Corso ha inoltre sottolineato che una gestione inadeguata della spesa del cloud non influisce soltanto sull’incapacità di efficientare la spesa IT, ma “genera anche un ritardo, un gap di innovazione che porta a un rallentamento e quindi a perdere tutti i vantaggi che comporta un’efficace adozione del paradigma cloud”.