PMI italiane: una su 4 aumenta gli investimenti nel digitale, ma solo il 40% ha un ERP
Per definizione le piccole e medie imprese (PMI) italiane sono le società con sede legale in Italia tra 10 e 249 addetti, e con fatturato annuo tra 2 e 50 milioni di euro. Un comparto come noto molto importante per l’economia italiana: parliamo di circa 221mila imprese, il 5,1% del totale in Italia, che danno lavoro al 33,5% degli occupati e generano circa il 40% del valore aggiunto (Istat, dati 2021)
Ma anche un comparto che evidenzia sempre più una spaccatura di fronte alla trasformazione digitale: nel 2022 il 26% delle PMI ha aumentato gli investimenti nel digitale rispetto all’anno prima, l’8% li ha diminuiti.
Ma soprattutto il 43% di PMI dichiara di essere “avanti nel processo di digitalizzazione” o di “puntare sempre di più sul digitale”, mentre specularmente un altro 43% non vede il digitale come opportunità, perché non attribuisce alla digitalizzazione un ruolo centrale nel proprio settore economico (35%), o ritiene i costi del digitale troppo alti rispetto ai benefici (8%).
I 4 profili di maturità digitale delle PMI italiane
Sono dati del report 2023 dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, presentato ieri, secondo il quale la spaccatura non è tanto legata alle molte criticità economiche e internazionali degli ultimi anni.
Di fronte alle difficoltà di breve periodo infatti le PMI italiane come al solito sono state capaci di reagire: solo piccole minoranze dichiarano di non essere state in grado di adottare contromisure per l’aumento dei costi dell’energia (14%), e per le difficoltà di approvvigionamento (10%).
Gli atteggiamenti opposti verso il digitale sono invece la conseguenza di scelte strategiche, legate al grado di consapevolezza delle opportunità della digitalizzazione.
L’Osservatorio ha infatti individuato 4 profili di maturità digitale sulla base di 3 variabili: trasformazione digitale dei processi, cultura digitale (che comprende approccio al digitale, competenze digitali, organizzazione dell’impresa e uso di tecnologie abilitanti di frontiera), ed ecosistema (accesso a fondi pubblici e collaborazione con attori esterni).
E questo indice di maturità digitale evidenzia ancora una volta la contrapposizione tra un 45% di PMI italiane “digitalmente illuminate” – il 36% presenta un profilo “convinto”, e il 9% un profilo “avanzato “– e un 55% “digitalmente arretrato”, somma del 39% che ha un profilo “timido” e del 16% che ha addirittura un profilo “scettico” nei confronti della trasformazione digitale.
Solo l’8% ricerca figure con competenze STEM
L’Osservatorio attribuisce l’atteggiamento di questa maggioranza soprattutto ai pochi investimenti in una delle tre variabili, la cultura digitale. Ancora troppe PMI (51%) infatti non svolgono attività per sviluppare e potenziare le competenze digitali, e solo l’8% punta a integrare nell’organico figure con competenze STEM.
Questo punto debole si ripercuote poi anche su un’altra componente della maturità digitale: la digitalizzazione dei processi. Attività che spesso, seppur avviata e a volte largamente diffusa (come nel caso della raccolta e analisi dei dati in fabbrica e di magazzino), viene portata avanti con strumenti poco evoluti.
Marketing e lead generation, nelle PMI un mix di attività tradizionali e digitali
Quanto ai processi di supporto, nel campo del marketing e lead generation le attività sono un mix di tradizionale – azioni sul campo dei venditori e fiere di settore (48% delle PMI) – e digitale, soprattutto pubblicità online (30% delle PMI). A mancare è spesso la raccolta ed elaborazione dei dati raccolti mediante sistemi CRM: soluzioni adottate o in procinto di essere implementate solo dal 42% delle piccole e medie imprese.
Carente anche la digitalizzazione dell’area risorse umane: circa 6 PMI su 10 usano soluzioni digitali in quest’ambito, ma per lo più per funzioni basiche, ossia gestire presenze, turni e orari lavorativi.
A livello di integrazione dei processi e funzioni aziendali, secondo l’Osservatorio solo il 40% delle imprese ha introdotto o punta a introdurre nel breve periodo un software ERP. Rimane quindi ancora alto il numero di PMI che non conoscono o non sono interessate a questa tecnologia, che pure è ormai disponibile sul mercato da decenni, proposta in molte tipologie d’offerta anche calibrate appunto sulle PMI italiane.
A livello di processi direzionali, l’imprenditore e il vertice strategico sono i principali promotori della digitalizzazione. Le scelte di business però nel 25% delle PMI non sono guidate da una valutazione di performance attraverso dati raccolti in azienda. L’uso dei dati per analizzare le prestazioni si focalizza più sull’interno – il 39% misura l’andamento aziendale – che sull’esterno.
Sul fronte delle tecnologie trasversali c’è attenzione verso la cybersecurity, ma anche qui emerge una dicotomia tra PMI che adottano soluzioni di base (96%) e PMI che adottano anche soluzioni avanzate (28%).
Il ruolo decisivo dell’ecosistema
Un dato del report che fornisce molti spunti di riflessione è che solo poco più di una PMI su due risulta avere attuato progetti di trasformazione digitale insieme a soggetti esterni.
Secondo l’Osservatorio il nocciolo del problema è proprio questo: per migliorare la consapevolezza dei benefici del digitale nelle PMI italiane, il ruolo dell’ecosistema è decisivo. “La spinta verso la digitalizzazione delle PMI”, spiega nel report Claudio Rorato, direttore della ricerca dell’Osservatorio, “deve e può pervenire da molteplici attori: fornitori tecnologici, banche, legislatore, centri di trasferimento tecnologico, associazioni di categoria, professionisti. Anche i capi-filiera possono giocare un ruolo molto importante, tramite lo sviluppo e promozione di best practice e progetti condivisi”.
“Occorre una trasformazione culturale dell’impresa che comprenda attività formative anche per gli imprenditori, per accrescere la loro capacità di elaborare strategie di medio-lungo termine in cui il digitale riveste un ruolo preminente, e l’inserimento in organico di figure con competenze digitali”, aggiunge Federico Iannella, Ricercatore Senior dell’Osservatorio. “È proprio in quest’area che si auspicano sempre più iniziative e agevolazioni a favore delle PMI, sia da parte del legislatore che dagli enti di trasferimento tecnologico e delle organizzazioni di rappresentanza”.
Iniziative istituzionali, manca una focalizzazione specifica sulle PMI
Un fronte, questo delle iniziative e agevolazioni istituzionali, che però almeno per adesso si caratterizza per l’approccio non strutturale ma estemporaneo, guidato da contingenze esterne e disponibilità di fondi.
Per esempio solo una PMI su 4 collabora con hub territoriali di innovazione (competence center, digital innovation hub, punti impresa digitale, incubatori, acceleratori di business). Un dato che secondo i ricercatori dimostra da una parte l’efficacia di tali strutture nel supportare la trasformazione digitale, dall’altra la possibilità di migliorare l’efficacia e la portata della loro attività.
Più in generale, dall’analisi sulle iniziative in Italia per favorire la digitalizzazione delle imprese emerge una scarsa focalizzazione sulle PMI. Soprattutto a livello nazionale, dove solo 2 progetti su 10 sono esclusivamente indirizzati alle PMI, e 2 su 3 sono “generalisti”, cioè non considerano il settore o la filiera come fattore discriminante. A livello regionale, invece, le misure dedicate in maniera mirata alle PMI e/o a specifici settori o distretti risultano più frequenti.
Quanto alla ricerca di risorse finanziarie, le PMI italiane faticano a intercettare tempestivamente i bandi ai quali potrebbero aderire. Anche quando riescono ad accedervi, hanno difficoltà a impostare programmi di medio-lungo termine perché non sanno se l’incentivo sarà disponibile anche nei prossimi anni. Una criticità che evidenzia appunto l’assenza di una strategia digitale nazionale strutturale.