Professionisti italiani, quasi 2 miliardi investiti nel digitale

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Oltre l’80% dei professionisti italiani sta valutando l’IA (ma meno dell’8% ha già progetti in corso), con obiettivi soprattutto di compilazione di documenti e aggiornamento sulle normative.

Nel 2023 i professionisti italiani come avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro hanno investito complessivamente 1,888 miliardi di euro in tecnologie digitali (+7% rispetto al 2022), con previsioni di ulteriore crescita nel 2024, fino a sfiorare i 2 miliardi di euro nell’anno in corso (1,982 miliardi per la precisione, +5% rispetto al 2023).

A investire più in tecnologia si confermano gli studi multidisciplinari, con una spesa media di 25.100 euro, seguiti a distanza dai consulenti per il lavoro (12.900 euro), dai commercialisti (12.100 euro) e infine dagli avvocati, con investimenti medi di 9.500 euro.

Anche sul fronte della redditività la categoria legale è quella più in sofferenza: il 40% registra una diminuzione del reddito nell’ultimo biennio, contro il 28% dei commercialisti, il 24% dei consulenti per il lavoro e il 27% dei multidisciplinari. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano presentata ieri.

I professionisti e l’IA

L’intelligenza artificiale non è ancora compiutamente entrata tra i professionisti, che pure manifestano grande interesse. Oltre l’80% degli studi si sta documentando sulla tecnologia, tra il 5% e il 7% sta valutando lo sviluppo di progetti con altri colleghi e tra il 3% e l’8% è passato all’azione, avviando progetti, con l’ausilio di consulenti esterni o insieme ad altri partner di business.
Commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari grazie all’IA vorrebbero soprattutto rendere più efficiente la compilazione e la redazione di documenti e atti automatizzando le attività ripetitive (tra il 70% e il 72%), mentre gli avvocati al primo posto mettono l’aggiornamento su normative e novità del settore, utilizzando sistemi di ricerca e monitoraggio delle fonti giuridiche (55%).

Per commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari la prima preoccupazione per il futuro è la difficoltà di trovare personale adatto alle esigenze dello studio, mentre al secondo posto ci sono il passaggio generazionale e la necessità di aumentare le dimensioni dello studio, ritenute inadeguate anche dagli avvocati. Per questi ultimi invece la principale preoccupazione è la capacità di elaborare da soli una nuova visione di studio, ma anche la difficoltà di trovare interlocutori con cui sviluppare collaborazioni stabili e la disponibilità di risorse finanziarie da investire in tecnologie evolute.

“La ricerca conferma alcune tendenze degli scorsi anni nella diffusione delle tecnologie digitali negli studi professionali. Le soluzioni verticali, tipiche di ciascuna professione, sono ormai presenti in più di 8 studi su dieci, ma le restanti tecnologie al massimo nel 50%, quelle avanzate in rari casi, con l’eccezione dei grandi studi, che hanno un portafoglio tecnologico ampio e diffuso. La scarsa diffusione tecnologica è il riflesso di processi lavorativi assestati sui modelli tradizionali, che puntano più sull’ammodernamento dei servizi tradizionali che sull’introduzione di nuove aree di servizio” spiega Francesca Parisi, Ricercatrice dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale.

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Le tecnologie più diffuse

Nel patrimonio informatico, i software per la gestione della contabilità e paghe, per il processo civile telematico, i sistemi di fatturazione elettronica e i sistemi di videochiamate sono presenti nei diversi studi con percentuali oltre l’80%, mentre le restanti tecnologie censite si fermano al massimo nel 50%, raggiungendo il minimo in quelle evolute come CRM, business intelligence, IA e workflow.

  • Tra gli avvocati, solo fatturazione elettronica (88%) e servizi di videochiamata (74%) sono diffusi massicciamente, mentre le altre tecnologie raggiungono meno di uno studio su due. La conservazione digitale a norma è al 43%, il sito web al 41% e le reti VPN al 32%. CRM, business intelligence, intelligenza artificiale e blockchain restano invece ai margini, diffuse tra il 3% e il 7% delle realtà
  • Per i commercialisti, ad eccezione del software per la gestione della contabilità e della fatturazione elettronica, presenti rispettivamente nell’88% e nell’87% degli studi, e dei sistemi per le videochiamate, nel 73%, tutti gli altri applicativi oggetto della ricerca sono adottati da meno del 44% degli studi: il 37% per la conservazione digitale a norma, solo il 35% utilizza piattaforme di eLearning e solo il 31% usa un portale per la condivisione documentale con i clienti
  • I consulenti del lavoro hanno più tecnologie al di sopra del 50%, segno di un percorso digitale che continua ad arricchirsi: oltre alla procedura paghe (94%, riconducibile all’attività prevalente), sono molto presenti la fatturazione elettronica (82%) e la procedura per la contrattualistica (74%). La rete VPN è al 49%, il sito Web al 44%, mentre le tecnologie più evolute oscillano tra l’1% e l’8%.
  • Negli studi multidisciplinari, le tecnologie diffuse dal 50% in su comprendono la gestione della contabilità (87%), procedura paghe (74%), rete VPN (57%), sito internet (50%)
  • Nei grandi studi (organico dalle 30 persone in su), più della metà degli applicativi oggetto della ricerca sono diffusi in almeno metà degli studi. Sito web dello studio, videochiamata, fatturazione elettronica e software per la gestione della contabilità sono presenti in 9 studi su 10

Studi professionali e sostenibilità

Gli studi professionali devono fare ancora molta strada sul fronte della sostenibilità ambientale. L’80% sta agendo sulla riduzione del consumo di carta, il 60% sul riciclo dei rifiuti e dei materiali e il 30% sul risparmio energetico. Lo smart working è diffuso solo tra il 20 e 30% degli studi, le policy per stimolare comportamenti virtuosi tra il 5% e il 10% e i programmi di certificazione per la sostenibilità ambientale appena tra il 2% e il 4%.

Gli studi professionali e le PMI

Anche nel 2023 e nei primi mesi del 2024, gli studi professionali si confermano tra i principali soggetti con cui le piccole e medie imprese italiane collaborano nei propri progetti di trasformazione digitale. Il 34% delle PMI che dichiara di collaborare con soggetti esterni sul tema della digitalizzazione indica gli studi professionali come interlocutori. Tuttavia, il supporto ha riguardato prevalentemente l’attività amministrativa e, meno, gli aspetti di pianificazione/consulenza. Infine, tra le imprese che non si sono rivolte ai professionisti per progetti di trasformazione digitale, oltre l’80% non li ha ritenuti interlocutori idonei sul tema.

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Il mercato digitale cresce del 2,1%: “Ormai protagonista dell’economia italiana”

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Il valore totale è di 78,7 miliardi, per cloud e cybersecurity aumenti a 2 cifre, +31,1% per l’AI. Il PNRR contribuisce per oltre 2 miliardi. I dati del rapporto Anitec-Assinform

Nel 2023 il mercato digitale italiano ha registrato una crescita del 2,1%, raggiungendo il valore complessivo di 78,7 miliardi di euro. È il dato di sintesi del consueto rapporto annuale di Anitec-Assinform, presentato ieri, che indica una crescita più che doppia rispetto al PIL (+0,9%), e una tenuta sostanziale rispetto al 2022 (+2,4%).

Tendenze che gli analisti di Anitec-Assinform attribuiscono all’avanzamento dei progetti del PNRR e ai crediti di imposta 4.0 e 5.0, nonché alla diffusione di progetti sulle principali tecnologie abilitanti del digitale, ossia Cloud, Mobile, IoT, Cybersecurity, Big Data e AI/Cognitive Computing.

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Fattori positivi che continueranno a dispiegare i i loro effetti anche quest’anno e almeno per i prossimi tre: “Con una progressione pressoché unica”, commenta Massimo Del Checco, presidente di Anitec-Assinform da poche settimane (nella foto), “l’ICT è diventata protagonista dell’economia italiana: siamo oggi un comparto che crea valore per tutti”.

Scendendo più in dettaglio i dati indicano stati di salute diversi nei vari comparti: molto bene i Servizi ICT (+9% a 16,2 miliardi di euro), soprattutto grazie al traino dei servizi di cloud computing, di cybersecurity e ai servizi professionali e di integrazione, in particolare in ambito AI.

Bene Software e Soluzioni ICT (+5,8% a 9,1 miliardi) e Contenuti e Pubblicità Digitali (+5,5% a 15,2 miliardi), male l’hardware (Dispositivi e Sistemi, -4,8% a 19,7 miliardi) – affossato soprattutto dai cali di personal computer, tablet e apparecchi TV – nell’attesa di una ripresa trainata dagli AI PC.

Mentre i Servizi di Rete TLC sono tornati a una crescita minima (+0,2% a 18,1 miliardi) dopo anni di flessioni, grazie al graduale aumento della tariffa media (Arpu) e ai contenuti digitali.

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I tassi più alti di crescita (molti dei quali in doppia cifra) sono messi a segno ovviamente dalle componenti tecnologiche più innovative, che il rapporto definisce Digital Enabler e Transformer, alcune delle quali sono ormai veri e propri comparti consolidati. A cominciare dal Cloud, che ormai vale 6,3 miliardi di euro e nel 2023 ha sfiorato il 20% di crescita, seguito da Mobile (5,3 miliardi, +4,5%), e IoT (4,4 miliardi, +9,3%).

Di dimensioni simili ed entrambi in crescita a due cifre sono poi i comparti Cybersecurity (+12,4% a 1,8 miliardi di euro) e Big Data Management (+13,2% e 1,7 miliardi di euro), mentre il tasso di incremento più alto è ovviamente dell’Intelligenza Artificiale (+31,1% a 674 milioni, nel grafico 4 i principali utilizzi nelle imprese italiane).

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Per quanto riguarda le aziende utenti, si conferma per l’ennesima volta il fatto che la spesa e la crescita della spesa sono più alte man mano che le dimensioni aumentano. Le grandi imprese (250+ addetti) nel 2023 hanno speso 30,2 miliardi di euro (+5,4%), le medie imprese (50-249 addetti) 8,8 miliardi di euro (+4%), le piccole (1-49 addetti) 9,8 miliardi di euro (+2,9%).

Come accennato, anche nei prossimi anni si prevede un andamento ampiamente positivo per il mercato digitale, favorito dal PNRR e dalla diffusione di Digital Enabler e Transformation. Nel 2024 la crescita prevista da Anitec-Assinform è del 3,3%, e per gli anni successivi fino al 2027 sarà oltre il 4% annuo.

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Per quanto riguarda specificamente il PNRR, l’impatto sul mercato digitale nel 2024 sarà di 2,1 miliardi su un totale di 81,2, mentre raggiungerà il suo massimo nel 2025, con 2,7 miliardi su un totale di 84,5 miliardi, con ulteriori effetti positivi fino al 2027.

“Il mercato digitale italiano è in salute”, ha detto Del Checco alla presentazione del rapporto. “I progetti digitali degli enti pubblici sono stati trainati dal PNRR, e le imprese private hanno fatto investimenti importanti, non era scontato: chi ha investito in digitale si è dimostrato più resistente alle difficoltà, e infatti l’export italiano ha avuto una forte crescita”.

“Il nostro compito come associazione è fare consapevolezza tra chi non ha investito, soprattutto le PMI: un grande aiuto può venire dalle grandi imprese nella gestione della loro filiera, e soprattutto dalle politiche industriali”.

A questo proposito, continua Del Checco, “L’attenzione del governo per il nostro settore è molto forte, abbiamo visto le iniziative per l’AI, l’ACN, il piano Transizione 5.0, ci sono tante azioni di diversi ministeri e sta anche a noi contribuire al loro coordinamento, e favorirne altre su priorità fondamentali come la formazione di competenze digitali, la semplificazione dei meccanismi per usufruire degli incentivi, e la consapevolezza sui potenziali rischi e benefici nei campi della cybersecurity e dell’intelligenza artificiale”.

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