Nel panorama della microelettronica, due innovazioni provenienti dalla Cina promettono di ridefinire i limiti della tecnologia attuale, sebbene al momento si tratti di ricerche accademiche ancora lontane da una vera propria fase produttiva. I progressi annunciati però sono talmente significativi da avere implicazioni significative sia per le prestazioni dei dispositivi elettronici, sia per la competitività della Cina nel settore dei semiconduttori, soprattutto in un contesto geopolitico sempre più teso come quello attuale.

Che luce sia

Un team internazionale di scienziati, guidato da ricercatori dell’Università di Pechino, ha progettato un rivoluzionario chip completamente ottico che utilizza la luce per sincronizzare la velocità dei processori e che potrebbe potenzialmente raggiungere una frequenza di clock di 100 GHz. Per dare un’idea di cosa ciò significhi, i chip convenzionali basati sull’elettricità operano a velocità di 2-3 GHz, con un picco massimo finora raggiunto di 6 GHz.

Chang Lin, professore associato presso l’Istituto di Tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione dell’Università di Pechino, ricorda che i chip convenzionali utilizzano oscillatori elettronici per generare segnali di clock. Questa tecnologia presenta diverse limitazioni, tra cui un elevato consumo energetico, la produzione eccessiva di calore e l’impossibilità di aumentare significativamente la velocità di clock. Per superare questi limiti, i ricercatori hanno deciso di utilizzare la luce come mezzo per trasmettere ed elaborare le informazioni.

Poiché la luce viaggia molto più velocemente dell’elettricità, i fotoni che generano questi segnali di clock possono elaborare le informazioni a velocità molto superiori. I ricercatori hanno costruito un anello sul chip simile a una pista da corsa all’interno del quale la luce compie giri, utilizzando il tempo di ogni giro come riferimento standard. Dato che i fotoni viaggiano alla velocità della luce, ogni giro richiede solo pochi miliardesimi di secondo, consentendo al clock di funzionare a una velocità ultra-elevata.

Poiché i chip convenzionali operano a una singola velocità di clock, applicazioni che non possono sincronizzarsi con questa velocità richiedono configurazioni di chip differenti, aumentando i costi di produzione e di elaborazione. I ricercatori hanno sviluppato un “microcomb on-chip” capace di sintetizzare sia segnali a singola frequenza, sia segnali a banda larga, con questi ultimi utilizzati come clock di riferimento per i vari componenti elettronici del sistema.

Utilizzando un wafer da 8 pollici (20 cm), i ricercatori affermano di poter produrre migliaia di questi chip, rendendoli immediatamente disponibili per soluzioni destinate ai consumatori. Chip che, ad esempio, potrebbero essere utilizzati per alimentare le comunicazioni mobili sulle bande di rete 5G e 6G e, cosa ancora più importante, l’impiego di questi chip nelle stazioni base ridurrebbe i costi delle apparecchiature e il consumo energetico.

Cina chip

Chip al bismuto

L’altra importante innovazione cinese emersa in questi giorni riguarda i chip al bismuto. Un team di ricerca dell’Università di Pechino ha pubblicato i risultati del suo lavoro su un transistor GAAFET bidimensionale a basso consumo energetico, il primo del suo genere al mondo. Il team ha pubblicato i propri risultati su Nature, con alcuni membri che definiscono la scoperta un vero e proprio progresso monumentale.

Si tratta del transistor più veloce ed efficiente mai realizzato” ha dichiarato il ricercatore Peng Hailin, il cui team ha testato questo nuovo transistor confrontandolo con prodotti di Intel, TSMC, Samsung e altri, ottenendo prestazioni superiori in condizioni operative equivalenti. Per comprendere appieno questa innovazione, bisogna partire dal concetto di GAAFET (Gate-All-Around Field-Effect Transistor), la naturale evoluzione dei transistor dopo i MOSFET e i FinFET.

L’innovazione nei transistor è stata storicamente guidata dal miglioramento del controllo tra le sorgenti e i gate. Nei MOSFET, il gate tocca la sorgente su un solo piano, mentre nei FinFET il gate circonda la sorgente su tre lati. Nei GAAFET invece il gate avvolge completamente la sorgente, migliorando ulteriormente l’efficienza del transistor.

I transistor GAAFET non sono una novità visto che vengono già utilizzati per la produzione di microchip con processo a 3 nm e inferiori, ma la novità del team di Pechino sta nella natura bidimensionale del transistor, resa possibile dall’uso di un materiale diverso dal silicio. Si tratta del Bi₂O₂Se (bismuto ossiseleniuro), un semiconduttore studiato da anni per applicazioni in processi sub-1 nm grazie alla sua capacità di operare come semiconduttore bidimensionale. I semiconduttori 2D come il Bi₂O₂Se offrono maggiore flessibilità e resistenza su scala nanometrica rispetto al silicio, che soffre di ridotta mobilità dei portatori di carica già al nodo di 10 nm.

Questa scoperta rappresenta un’importante evoluzione verso transistor 2D impilati e segna un potenziale superamento del silicio nel settore dei semiconduttori. Sebbene i transistor 2D GAAFET non rappresentino necessariamente il futuro della produzione su larga scala, lo studio evidenzia il dinamismo delle nuove generazioni di ricercatori cinesi, pronte a spingere i limiti della tecnologia.

Anche perché, con gli Stati Uniti pronti ad aumentare ulteriormente le restrizioni contro l’accesso della Cina alle tecnologie avanzate, inclusa una possibile messa al bando proprio della tecnologia GAAFET, l’industria tecnologica cinese sta correndo contro il tempo in una competizione geopolitica sempre più serrata.

(Immagine d’apertura: Shutterstock).