Oracle svela il nuovo processore M7, il primo “nato in casa”
Il vicepresidente dell’area sistemi di Oracle, Fowler, tiene in mano il processore M7. È un messaggio chiaro del fatto che la tecnologia sviluppata nella Silicon Valley è qui ed è alla portata di tutti, portafogli permettendo.
Si tratta del più importante annuncio fatto da Oracle sulla piattaforma Sparc dai tempi dell’acquisizione di Sun, cinque anni fa. All’epoca, Ellison aveva dichiarato che Oracle avrebbe tratto un enorme vantaggio dal possedere in casa tutta la catena dell’IT, dalle applicazioni fino al silicio, ma finora questi vantaggi sono stati marginali e hanno riguardato poco o nulla la parte hardware del business. Certo, i nuovi modelli di processore con più core e maggiore velocità si sono succeduti, ma l’architettura era tutto sommato la stessa nata in Sun.
Si sa, però, che progettare un nuovo processore e portarlo in produzione richiede mediamente dai quattro ai sei anni. Ebbene, questo tempo è servito a Oracle per progettare il chip presentato oggi, che ha diverse nuove funzioni pensate per far lavorare al meglio il software Oracle, ma che portano vantaggi anche a quello di terze parti. Il processore sarà inserito in tutti i server serie M e T e disponibile come upgrade per l’Oracle Supercluster, il sistema preconfigurato per database Oracle.
Oracle M7: sicurezza, velocità, integrazione
Il processore ha 32 core, un bel salto dai 12 dell’M6, e velocità di clock a 4.1 GHz. Ha il quadruplo della cache per core e il doppio di larghezza di banda con la memoria rispetto al suo predecessore. Le cose più interessanti però non sono nei numeri.
I suoi punti di forza? Sicurezza contro le intrusioni illecite nella memoria, efficienza e possibilità di processare big data e database in memoria anche in formato compresso praticamente senza perdita di prestazioni.
Il sistema di protezione della memoria, chiamato “silicon-secured memory”, funziona in questo modo. Quando un processo ha bisogno di accedere a una certa porzione della memoria, il chip gli assegna una chiave di accesso specifica per quella posizione. Se il programma cerca di accedere a una porzione differente, il processo viene terminato. Quando il programma richiede una posizione diversa, gli viene assegnata una nuova chiave Questo dovrebbe mettere fine a una vasta gamma di attacchi che utilizzano processi leciti per andare a leggere o scrivere porzioni di memoria diversi da quelli a cui dovrebbero normalmente accedere (buffer overflow e compagnia).
Questa innovazione è importante per proteggere i big data nel punto in cui sono più vulnerabili: quando vengono trasferiti nella memoria per eseguire le analisi.
Per quanto riguarda la compressione, l’acceleratore hardware inserito nel chip può tenere il passo della velocità di un database Oracle in-memory, il che significa che è possibile operare in memoria con dati compressi senza i rallentamenti che solitamente ci si aspetterebbe.