Pure Storage, sempre più data service company e region sovrane
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Sin dalla sua nascita quindici anni fa, Pure Storage ha seguito una strategia che guardava al futuro dell’archiviazione e che vedeva nella memoria flash la nuova frontiera. Il tempo ha mostrato che la via era quella giusta, anche se lungo il cammino sono stati necessari alcuni aggiustamenti. L’obiettivo, come ha affermato Paolo Fontana, Country Manager Italy di Pure Storage, è sempre stato quello di “aggiungere nuovi prodotti all’offerta senza avere come riferimento i trend di mercato, ma cercando di soddisfare le potenziali esigenze dei clienti.
Ciò ha portato alla transizione da un’azienda di prodotto a una data platform company, una realtà in grado di aiutare le organizzazioni nella definizione e nell’ottimizzazione del dato. Più di recente, ci siamo spostati addirittura verso una logica di servizio. Oggi possiamo definirci una data service company”.
Il risultato è che attualmente il 42,8% delle revenue di Pure Storage arriva dai servizi su abbonamento. A riguardo, ricordiamo che nell’ultimo trimestre dell’anno fiscale 2024, il fatturato globale dell’azienda è stato di 1,37 miliardi dollari con una crescita del 25% anno su anno. Nello stesso periodo, la crescita in Italia è stata del 12% (Pure storage non fornisce il fatturato disaggregato).
L’esperienza di Tim Enterprise
“Possiamo aiutare il cliente nel percorso di aggiornamento periodico della propria infrastruttura senza alcuna interruzione di servizio o senza dover fare migrazione dei dati – ha precisato Fontana –. È una logica efficace sia in termini di contenimento dei costi, sia di soddisfazione delle esigenze business sia, ancora, di riduzione del rischio”.
A testimonianza delle parole di Fontana arriva l’esperienza diretta di un cliente come TIM Enterprise, per voce di Alfredo Nulli, VP Portfolio e CoE di Noovle: “TIM è un cliente di Pure Storage da diversi anni per il proprio data center e ha già affrontato due generazioni di refresh tecnologico. Però l’anima di TIM Enterprise è duplice: da una parte gestisce l’IT per un grande cliente come TIM e dall’altra fornisce servizi cloud per il mercato: le soluzioni di Pure Storage sono utilizzate all’interno della nostra soluzione cloud. In realtà, c’è anche un terzo contesto che abbiamo individuato tre anni fa: dare valore alla colocation di prossimità che forniamo agli hyperscaler”.
Quello che intende Nulli è che quando viene richiesta da un hyperscaler una colocation e si deve affrontare un progetto di trasformazione cloud dei suoi clienti, c’è l’esigenza da parte di tale hyperscaler di trovare delle contiguità al suo business cloud in termini di aree in cui memorizzare dati in sovranità o di aree vicine per motivi tecnologici o di compatibilità applicativa. “Abbiamo perciò creato un filone di business che riguarda le sale di colocation di prossimità e le interconnessioni cloud che permettono di collegare direttamente gli ambienti applicativi dei clienti tra loro all’interno degli hyperscaler”.
Tre fondamentali fattori
Per ottenere i risultati desiderati da questo nuovo modello di business, TIM Enterprise ha analizzato il mercato degli storage vendor e del computing perché “dentro queste sale ci dovevano essere semplici soluzioni di piattaforma: i clienti sanno bene cosa mettere in tali sale”.
L’analisi si è basata su tre fattori fondamentali: il primo è la flessibilità. “Quello delle sale di colocation è un business necessario, ce lo chiedono gli hyperscaler con i quali stabiliamo precisi SLA per il servizio fornito. Tuttavia, non abbiamo una visibilità diretta su quanta parte dell’IT di un cliente finirà nelle sale di colocation”.
Pure Storage aveva perciò bisogno che la flessibilità del tipo di infrastruttura permettesse di scegliere lo storage a seconda delle necessità: più veloce, più lento o con maggiore capacità. Ma serviva anche flessibilità nel modello di approvvigionamento: “il processo di acquisizione interna non doveva durare mesi, ma avere la velocità del coud”.
Il terzo fattore che cercava Nulli era che la soluzione di storage fosse indipendente dal modello di computing e viceversa. “Noi dobbiamo essere aperti perché non possiamo prevedere cosa il cliente viene a mettere nelle nostre infrastrutture, non è parte di un processo o di un progetto definito. Riceviamo una richiesta per una certa implementazione, che deve essere fatta secondo SLA certi perché si devono avere basse latenze così da ottenere il massimo dal cloud e dalla sovranità”.
Questi sono le basi secondo cui ha effettuato la ricerca TIM Enterprise e che, attraverso un processo di gara, hanno portato alla scelta di Pure Storage. “Le isole di prossimità le abbiamo acquisite in modalità as a service – ha sottolineato Nulli –. Ci ha convinto la proposta perché aveva un chiaro costo per terabyte. Non prevedeva tasse di riacquisto finali e ci permetteva la marginalità giusta per una proposta al mercato a un prezzo che non fosse fuori scala”.
Al via solo ora le region italiane
Ora è il momento per la verifica della reale efficacia della partnership. Infatti, è appena iniziato l’on board dei clienti. “È vero che tutti gli hyperscaler hanno lanciato tra il 2022 e il 2023 le loro region italiane, ma cominciano a utilizzarle solo ora. Molti dei clienti sono ancora gestiti dalle region europee, però tutti gli hyperscaler hanno previsto programmi di repatriation perché puntare sulle region italiane può essere economicamente più vantaggioso”.
La capacità in Italia dei data center oggi è di circa 450 megawatt, ma è previsto raggiungerà un valore tra i 600 e i 700 megawatt. “Questo ramp up riteniamo incrementerà ancora più l’adozione delle nostre sale di prossimità e il nostro interconnect, che proponiamo dai centri di Milano e Torino. E da lì dobbiamo costruire e incrementare la base clienti. In questo senso, un ruolo importante lo gioca sicuramente la flessibilità offerta da Pure Storage che consentire agli IT manager di spostare o aggregare la quantità hi computing e storage necessaria senza dover essere legati a uno specifico hardware”.
L’energia, un problema enorme
Un aspetto su cui ha messo infine l’accento Nulli è il consumo energetico dei data center. “È veramente un problema enorme. Se inserissimo nel nostro datacenter una GPU in ogni server aumenteremmo a tal punto i consumi che probabilmente rischieremmo il fallimento. Non si può pensare di distribuire l’intelligenza artificiale in maniera omogenea tra tutte le unità di computazione”. La soluzione è affrontare il tema dal punto di vista architetturale, secondo concetti di composable architecture e di segregazione dei workload.
“Oggi è indispensabile avere un forecast del valore dell’energia e saper gestire il prezzo di acquisto valore – ha concluso Nulli –. Chi non ha il controllo dell’energia spesso perde i clienti perché trovano forniture più di valore. L’ultimo technology refresh di Pure ha portato un saving dell’energia sulle componenti tale da giustificare da solo il rinnovo del parco tecnologico”.