Ad-blocker, croce e delizia
Una colonna sonora che all’improvviso irrompe nella tranquillità di un ufficio disturbando tutti, una serissima pagina web che, mentre leggete, si apre come un sipario per far passare tra le righe un’automobile rombante, o un video che di quando in quando si ingigantisce costringendovi a cliccare per toglierlo di mezzo.
Sono rimasti in pochi a non sentire il peso dell’eccesso di advertising nei siti più popolari, e non c’è solo l’uso indiscriminato di una micidiale mescolanza di programmazione java, dell’arcaico flash e delle animazioni in html 5. Dietro l’innocua volontà di catturare l’attenzione si nasconde, sempre più spesso, un abuso dei sistemi di tracciamento, mentre le tecniche di redirect per massimizzare i proventi di ogni clic, sia esso espressione della volontà dell’utente o estorto con qualche trucco, possono far atterrare in luoghi della rete del tutto indesiderati e niente affatto sicuri.
L’effetto, con la navigazione mobile, è ulteriormente enfatizzato. La ridotta dimensione degli schermi e l’attenzione dell’utente tipicamente condivisa con altre attività, rende sempre più facile, ai programmatori web, progettare tranelli. E se non vi è capitato di ritrovarvi abbonati a qualche inutile servizio a pagamento senza nemmeno rendervi conto di come sia accaduto, siete molto accorti o fortunati. Oppure state già usando un ad-blocker. Vediamo quindi cosa sono, quali sono i dati sul loro utilizzo e che impatto stanno avendo sul mercato pubblicitario.