In una sentenza storica, il giudice federale Amit Mehta ha stabilito che Google ha violato la legge antitrust degli Stati Uniti attraverso i suoi accordi di distribuzione per rendere il suo motore di ricerca l’opzione predefinita su browser per smartphone e altri dispositivi. Questa decisione rappresenta una vittoria significativa per il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti nella sua campagna per regolamentare le Big Tech.

Il giudice Mehta ha concluso che “Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio”, violando la Sezione 2 dello Sherman Act. La sentenza si applica specificamente all’impatto che gli accordi di distribuzione di Google hanno sul mercato dei servizi di ricerca su Internet e degli annunci testuali di ricerca.

Il tribunale ha stabilito che Google ha monopolizzato sia il mercato della pubblicità testuale di ricerca generale, sia quello dei servizi di ricerca generale attraverso i suoi “accordi di distribuzione esclusiva”. Questa posizione dominante permette a Google di aumentare i prezzi degli annunci testuali senza preoccuparsi della concorrenza, costringendo gli inserzionisti a pagare di più.

La sentenza evidenzia come Google abbia utilizzato vari “meccanismi di pricing” per aumentare i prezzi, spesso tra il 5% e il 15% alla volta, senza un significativo spostamento della spesa pubblicitaria verso i concorrenti. Il giudice ha sottolineato che non ci sono prove che qualsiasi rivale influenzi le decisioni di prezzo di Google, che ammette di effettuare aggiustamenti alle aste senza considerare i prezzi di Bing o di altri concorrenti.

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Un aspetto cruciale della sentenza riguarda i pagamenti di Google per rendere il suo motore di ricerca l’opzione predefinita. Nel 2021, l’azienda ha pagato oltre 26 miliardi di dollari per garantire che Google Search fosse impostato come predefinito su vari dispositivi e piattaforme. Ad esempio, Apple ha ricevuto tra 18 e 20 miliardi di dollari nel 2020 per impostare Google Search come motore di ricerca predefinito in Safari sui suoi dispositivi.

Inoltre, uno studio interno di Google del 2020 sulla degradazione della qualità ha rivelato che l’azienda non perderebbe entrate anche se la qualità della ricerca peggiorasse, dimostrando un comportamento tipico di un’azienda con potere monopolistico. La decisione non è stata del tutto negativa per Google. Il giudice ha infatti stabilito che la piattaforma di gestione degli annunci Search Ads 360 non viola la legge antitrust e ha rifiutato di sanzionare Google per non aver conservato i messaggi di chat dei dipendenti.

Le reazioni alla sentenza sono state varie. Il procuratore generale Merrick Garland l’ha definita “una vittoria storica per il popolo americano”, ma anche organizzazioni come l’Open Markets Institute e la News/Media Alliance hanno accolto con favore la decisione. Dall’altra parte, la Chamber of Progress, un gruppo commerciale tecnologico, ha criticato la sentenza, definendola “uno schiaffo in faccia ai consumatori che hanno scelto Google perché pensano sia il migliore”.

Google ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso e ha sottolineato che il tribunale ha riconosciuto la superiorità dell’azienda in termini di qualità e innovazione.
La sfida principale per il tribunale sarà ora come elaborare le conseguenze della sentenza, anche perché in passato diversi tribunali federali hanno faticato a decidere come gestire monopolisti efficienti con un alto grado di accettazione da parte dei consumatori. La questione di come ripristinare la concorrenza nel mercato rimane quindi aperta e sarà oggetto di ulteriori discussioni e argomentazioni legali nei prossimi mesi.