Self Driving Network: le reti del futuro diventano autonome con Juniper
Con l’ambizioso progetto di Self Driving Network, Juniper si prefigge l’obiettivo di sviluppare una concezione completamente nuova per le grandi reti, dove l’intelligenza artificiale si fa carico di svolgere in autonomia la quasi totalità delle operazioni di configurazione e gestione, compresi gli aspetti di sicurezza.
Non si tratta di un semplice modello basato su automatismi deterministici, dove vengono create regole secondo le quali a un particolare input corrisponde uno specifico output, bensì di un sistema in grado di decidere da solo come utilizzare la tecnologia in base al risultato che viene richiesto a monte.
Nel corso della 20ma edizione dell’MPLS + SDN + NFV World Congress 2018 di Parigi, uno degli appuntamenti più importanti per le società che operano nel mondo del networking, abbiamo discusso a lungo del Self Driving Network con Kireeti Kompella, Senior Vice President e Chief Technology Officer (CTO) di Juniper Networks, nonché padre e responsabile del progetto. Il quadro che ne è emerso configura un futuro dalle enormi potenzialità, ma non privo di elementi di rischio che devono essere tenuti ben presenti in tutte le fasi dello sviluppo.
Un’evoluzione lunga, ma naturale
Il fatto che l’acronimo di Self Driving Network (SDN) sia lo stesso dell’attuale Software Defined Networking non è una coincidenza: per Kireeti Kompella infatti ne sarà l’evoluzione naturale e ha voluto creare una provocazione in questo senso.
Nel corso del forum dello scorso anno, Kompella aveva indicato un processo a cinque step per arrivare fino alla configurazione finale del Self Driving Network, specificando che Juniper si trovava al secondo di questi passaggi. Oggi, ha chiarito, siamo tornati al primo step. Dopo una fase di workshop pratici che ha coinvolto potenziali clienti, infatti, è emerso che i big data raccolti dalle aziende in ambito networking, soprattutto per le Telco tradizionali, non hanno ancora una qualità e una logica tali da renderli utilizzabili come base per alimentare il sistema di machine learning su cui si fonderà il progetto. Sarà necessario disporre di un flusso di dati continuo, senza interruzioni, con la possibilità di passare in tempo reale da un’analisi macro a una micro, in modo da permettere al sistema di individuare i comportamenti anomali e di esaminarli. Inoltre la mole dei dati deve essere ridotta drasticamente, eliminando quasi un 80-90 percento di informazioni inutili che appesantiscono solo il processo. Per ottenere questo risultato serve dunque tornare alla fase di raccolta dati, il primo step del percorso, e stabilire delle regole più efficaci. Nonostante questo temporaneo passo indietro, Kompella si è comunque dimostrato fiducioso sul fatto che il Self Driving Network possa svilupparsi in tempi relativamente brevi. Probabilmente entro cinque anni potremo vedere già delle applicazioni del sistema, se non nella sua forma completa comunque a uno stadio sufficientemente avanzato.
Facendo il paragone con i veicoli a guida autonoma (Self Driving Cars), da cui ha mutuato il nome per il progetto, ha evidenziato come i risultati ottenuti fino a oggi siano il frutto dell’applicazione di una serie di tecnologie specifiche che si sono evolute nel corso del tempo: marcia automatica, riconoscimento delle corsie, sensori di distanza, frenata autonoma ecc. Allo stesso modo, anche nell’ambito del networking non si arriverà a un’implementazione completa fin dall’inizio, ma ci saranno applicazioni diverse che andranno poi a costituire l’intero sistema di intelligenza artificiale.
Le preoccupazioni del Self Driving Network
Grazie al Self Driving Network, sarà possibile devolvere alle macchine gran parte del lavoro di configurazione e gestione delle reti, con precisione, prestazioni e risparmi irraggiungibili dagli operatori umani. L’ovvia preoccupazione è che questo possa portare a una perdita di posti di lavoro nell’ambito dei sistemi di reti, ma in realtà si tratterà soprattutto di un cambio di ruolo: resterà appannaggio umano la supervisione complessiva dell’operato, per modificare l’intelligenza artificiale in modo da ottenere risultati sempre migliori. Tenendo presente come la complessità delle reti crescerà con l’arrivo del 5G, non per l’aumento di banda quanto per l’incremento esponenziale di dispositivi connessi, trasferire la parte operativa della gestione all’intelligenza artificiale sarà l’unico modo per poter gestire un tale scenario senza dover incrementare il personale tecnico al punto da renderlo difficilmente sostenibile, mentre i tecnici passeranno a svolgere un ruolo più strategico.
Un altro dubbio importante riguarda lo sviluppo simultaneo e parallelo di soluzioni più o meno analoghe da parte di numerosi operatori del settore. Mentre Juniper porta avanti il concetto di Self Driving Network, aziende come Google e Cisco non restano certamente a guardare e stanno già implementando sistemi di automazione e machine learning con diversi punti di affinità. In merito a questo aspetto, Kompella ha affermato che l’interoperabilità deve sicuramente essere tenuta presente e che in futuro sarà fondamentale stabilire dei protocolli comuni basati su open standard e su sistemi di telemetria condivisi, per far sì che prodotti diversi possano dialogare in una rete mista, ma al momento è ancora troppo presto: è necessario prima iniziare a sperimentare e individuare la strada da seguire, altrimenti si rischia di aumentare ulteriormente la complessità del progetto e di bloccarlo in fase di startup.
L’importanza della comunicazione
Un aspetto sul quale Kompella ha giustamente posto l’accento è la capacità che il sistema dovrà avere di comunicare i motivi delle proprie scelte in un modo che sia comprensibile agli operatori umani. Immaginiamo infatti di individuare in un Self Driving Network un comportamento che apparentemente non ha senso: cercare di comprenderlo dall’analisi dei dati sarà un’impresa praticamente impossibile, considerata la complessità dei sistemi. Deve essere la macchina stessa a poter esprimere in modo comprensibile la logica delle proprie scelte quando le viene richiesto. Questo sarà fondamentale anche quando ci troveremo di fronte a casi di eccellenza, in cui l’SDN ha ottenuto risultati superiori alle aspettative: dovremo poter capire come ci è riuscito, per poter replicare in altri ambiti e su altri sistemi lo stesso processo.
Tre scatole intelligenti
Il sistema teorizzato da Kompella prevede tre black box, ovvero tre fasi in cui l’intelligenza artificiale interviene. A fronte di un’indicazione iniziale sulla tipologia di risultato desiderato, la prima black box parte dagli input esistenti per generare un modello. Questo modello viene successivamente passato alla seconda black box, che lo utilizza insieme ai dati in ingresso per generare l’output. Una terza black box si occupa invece di esaminare gli output e valutarli rispetto a quella che era la richiesta iniziale. Se risultano conformi, vengono restituiti alla seconda black box per creare uno storico che va ad alimentare ulteriormente l’intelligenza artificiale, altrimenti viene generata un’azione, che può consistere in un intervento di correzione diretto da parte del sistema oppure nell’invio di un’allerta per il supervisore umano.