Ieri è stato un lunedì nero per le banche, soprattutto quelle italiane. Non sono bastate le molteplici rassicurazioni di un improbabile “effetto contagio” a seguito del fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) fornite del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, del Segretario al Tesoro Janet L. Yellen e del presidente del Consiglio della Federal Reserve Jerome H. Powell. E nemmeno sono servite le parole del Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, che in un’intervista a Bruxelless ha affermato: “Non penso che ci sia un vero rischio contagio al momento attuale in Europa”.

La messa in liquidazione di SVB ha avuto effetti importanti sulle Borse europee che hanno subito un tracollo trainate dalle perdite dei titoli bancari. E gli istituti di credito italiani, che erano quelli cresciuti maggiormente a livello continentale dall’inizio dell’anno, sono stati i più penalizzati. Le vendite hanno dominato a Piazza Affari: -9,51% Bper Banca, -9,01% UniCredit, -8,09% Banco Bpm, -7,33% Mps, -6,32% Finecobank e -6,1% Intesa Sanpaolo. Così la Borsa di Milano ha messo a segno la perdita più consistente in Europa: -4,03%.

Ovviamente, la preoccupazione è che si ricrei una situazione simile a quella del 2008 generata dal crack della banca d’affari Lehman Brothers. In realtà, oggi il contesto è molto diverso, ma comunque gli operatori non vogliono rischiare nulla e preferiscono muoversi con cautela, vendendo piuttosto che comprando.

Il paradosso: fallire perché si è investito in titoli di stato

Ma come si è giunti alla situazione attuale? Sostanzialmente la causa del fallimento della Silicon Valley Bank è stata l’aumento dei tassi di interesse negli USA. Infatti, la SVB, che è una banca specializzata nei finanziamenti alle startup, si è trovata a disporre di liquidità a fronte di una bassa richiesta di credito. Ha perciò pensato di investire tale capitale in titoli di stato, in particolare in obbligazioni a lungo termine per via della buona resa.

La crescente inflazione ha però indotto la Federal Reserve ad aumentare i tassi di interesse e questo ha avuto due gravi conseguenze per SVB. In primo luogo, la banca ha dovuto alzare i rendimenti da pagare ai correntisti, perché rivendicavano il diritto di avere tassi in linea con il mercato per i capitali depositati presso SVB. Secondariamente, l’innalzamento dei tassi ha comportato una riduzione del valore delle obbligazioni a lungo termine e nelle quali SVB aveva investito. Siccome gli investimenti effettuati erano a tasso fisso e invece le passività erano a tasso variabile, l’istituto di credito si è trovato in una situazione drammatica.

SVB ha tentato di porre rimedio vendendo le obbligazioni. In questo modo è riuscita a ottenere un capitale di 21 miliardi di dollari, che ha reinvestito in titoli a breve scadenza, così da avere un bilancio più flessibile a fronte dei tassi di interesse in continuo aumento. In realtà, una certa liquidità era anche necessaria per pagare i rendimenti richiesti dai correntisti.

L’operazione ha comportato per SVB una perdita di 1,8 miliardi di dollari, una cifra ingente, soprattutto se si considera che la capitalizzazione della banca era da 6 miliardi di dollari. In una mossa estrema, SVB ha cercato di reperire capitale emettendo azioni per 2,2 miliardi di dollari. L’iniziativa ha però avuto un esito fallimentare. Come se non bastasse, vista la situazione che si era creata, i correntisti sono corsi a ritirare i propri soldi. Si parla di prelievi superiori ai 40 miliardi di dollari in un solo giorno. Si è così creata una crisi di liquidità e SVB ha avuto un crollo in borsa di oltre il 60%. A quel punto è intervenuta la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), l’agenzia federale statunitense che assicura i depositi bancari, e ha bloccato SVB.

I fallimenti di Silvergate Bank e Signature Bank

Ricordiamo che per dimensione la Silicon Valley Bank è la sedicesima banca statunitense con 209 miliardi di dollari attivi e 175,4 miliardi di depositi.

Da sottolineare, come riportano molti media statunitensi, che mentre un paio di settimane prima del fallimento da una parte il Ceo di SVB Greg Becker assicurava ai correntisti la presenza di liquidità nei depositi, dall’altra vendeva 12.400 azioni della banca per un controvalore superiore ai 3 milioni di dollari. Evidentemente, non aveva nessuna fiducia nel futuro della banca che dirigeva.

A contribuire a creare ancor più in allarme gli operatori di Borsa dagli USA è poi arrivata la notizia della chiusura di altri due istituti di credito: la californiana Silvergate Bank e la newyorkese Signature Bank. La prima ha rivestito un importante ruolo per lo sviluppo del settore delle criptovalute, ma è stata vittima del mercato ribassista e della bancarotta di alcune società del settore, a partire da Ftx. Signature Bank ha invece avuto un destino simile a quello di SVB, perché anch’essa ha accusato oltre 3 miliardi di dollari di perdite a causa di investimenti in titoli pubblici.

Quali conseguenze per le startup?

Il fallimento di SVB comporta una serie di ricadute sul mondo delle startup della Silicon Valley. Prima fra tutte quella di sapere se e quando potranno essere pagati gli stipendi dei dipendenti. Bloomberg ha raccolto le opinioni di diversi fondatori di tali startup e quella che emerge è l’incertezza sul futuro delle singole realtà: la difficoltà di pagare gli stipendi si potrebbe entro breve tradurre in licenziamenti di massa. E questo su vasta scala, considerando che più della metà delle aziende tecnologiche tiene la maggioranza della liquidità presso la SVB.

Un rischio analogo si poteva prospettare anche per le imprese britanniche attive nei settori della tecnologia e delle scienze naturali. Infatti, in un’intervista al canale televisivo britannico Sky News, il cancelliere dello Scacchiere Jeremy Hunt, pur sottolineando il sistema finanziario del Regno Unito non era a rischio, ha ammesso che invece lo erano appunto le aziende dei settori della tecnologia e delle scienze naturali perché, ha affermato “anche se la maggior parte delle persone non avrà mai sentito parlare della Silicon Valley Bank, gestisce i capitali di alcune delle nostre attività più promettenti ed entusiasmanti”.

Tuttavia, nel Regno Unito si sono mossi in fretta e hanno già trovato una soluzione: con una veloce trattativa, agevolata dalla Banca d’Inghilterra, HSBC ha acquistato la filiale della Silicon Valley Bank pagandola 1 sterlina. In una nota, HSBC precisa che al 10 marzo 2023, SVB UK aveva prestiti per circa 5,5 miliardi di sterline e depositi per circa 6,7 miliardi di sterline. Per l’esercizio finanziario conclusosi il 31 dicembre 2022, SVB UK ha registrato un utile prima delle imposte di 88 milioni di sterline. Il patrimonio netto tangibile di SVB UK dovrebbe essere di circa 1,4 miliardi di sterline. Viene precisato che le attività e le passività delle società madri di SVB UK sono escluse dalla transazione, che viene completata immediatamente.

Nel Regno Unito hanno saputo agire velocemente, limitando i rischi, ma sicuramente gli effetti del fallimento della Silicon Valley Bank sono destinati a ripercuotersi ancora per qualche tempo sia sul mondo finanziario sia su quello delle startup.