Il Piano Banda Ultralarga del Governo, che dovrebbe portare alla realizzazione di una rete in fibra ottica di nuova generazione in grado di assicurare la copertura del 100% della popolazione a 30 Mbit/s e dell’85% a 100 Mbit/s entro il 2020, ha toccato ieri un primo e importante traguardo, anche se siamo solo all’inizio.

Il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha infatti annunciato di aver stanziato 2,2 miliardi di euro per l’inizio dei lavori, cifra che può sembrare ingente, ma che in realtà rappresenta una piccola parte dei 12 miliardi complessivi richiesti dal piano, di cui 7 miliardi dovrebbero arrivare da finanziamenti pubblici e il resto da finanziamenti privati.

Questa prima tranche stanziata dal CIPE sarà destinata interamente alle aree del Paese (le cosiddette zone a “fallimento di mercato) dove i privati non hanno alcun interesse commerciale a portare i servizi di connettività in fibra. Ai 2,2 miliardi di euro del CIPE si sono poi aggiunti i 350 milioni di Telecom Italia, che ha vinto la gara indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico per la realizzazione della rete in Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia (si tratterà per lo più di un’infrastruttura Fiber to the Cabinet).

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Questo il commento del premier Matteo Renzi nella conferenza di stampa di ieri.

“Il CIPE ha approvato finalmente un cospicuo intervento economico sul Piano Banda Ultralarga. È un’autentica, straordinaria, novità per il nostro paese, ed è l’infrastruttura più importante per i prossimi 20 anni. Noi abbiamo presentato nel marzo scorso il piano per la banda ultralarga; oggi deliberiamo i finanziamenti e ragionevolmente nell’autunno partiranno i primi interventi. L’obiettivo è molto chiaro: copertura completa del nostro paese. Che vuol dire che non ci sia neanche una zona che resti indietro, che non abbia le stesse chance infrastrutturali delle altre”.

“Perché mettiamo dei soldi pubblici? Perché il privato, a Milano o nelle altre aree dove l’operazione si paga e sta in piedi da sola, non ha problemi a intervenire. Il privato ha problemi in quelle zone dove è meno forte la possibilità di investire risorse per realizzare infrastrutture perché il numero di potenziali ritorni è più basso rispetto a quello che l’investimento assicurerebbe. Sono le cosiddette zone nere. Bene, noi partiamo dalle zone nere, come soldi pubblici. Partiamo dai cluster D e cluster C, le cosiddette zone a fallimento di mercato che coprono circa un terzo degli italiani, un po’ di più il 35%. Le zone D sono quelle dove il privato non investirebbe mai, le zone C quelle dove il privato investirebbe solo in presenza di incentivi. Oggi abbiamo staccato il primo assegno, ora tocca agli operatori telefonici farsi avanti”.