Cryptolocker: dopo due anni le aziende pagano ancora il riscatto

coinhive
Secondo i laboratori IKS nell’ultimo periodo sono cresciuti nuovamente i casi di infezione, ma proteggersi è possibile: basta attuare le giuste misure preventive.

IKS, azienda di consulenza specializzata nell’ambito della sicurezza informatica, nell’ultimo mese ha analizzato più di venti milioni tra siti internet visitati ed email ricevute dai propri clienti, scoprendo come di quest’ultime ben il 65% fosse spam e il 20% contenesse stringhe malevole o rimandasse a siti ad alto rischio.

Nell’ultimo anno inoltre, su decine di milioni di messaggi analizzati, IKS ha rilevato la stessa tendenza: il 40% delle email sono risultate essere spam, delle quali l’1.7% conteneva malware di tipo ransomware-Cryptolocker. Nonostante siano passati due anni dalle prime infezioni di questo famigerato malware che blocca i sistemi e chiede un riscatto, il pericolo è tutt’altro che debellato e sembra che la maggior parte delle aziende non abbia ancora trovato le giuste contromisure, continuando ad infettarsi e propagando le infezioni orizzontalmente a tutti i reparti.

Ransomware si riferisce a una classe di malware che tiene in “ostaggio” un computer, fino a quando l’utente paga un determinato importo in denaro, così da ricevere istruzioni specifiche per sbloccarlo. Il Ransomware Cryptolocker, una volta eseguito, ha la capacità di infettare il sistema, criptando quasi immediatamente tutti i dati presenti sul disco rigido e richiedendo poi un pagamento all’utente.

le aziende si informano poco ed utilizzano mezzi spesso non adeguati, quasi rassegnandosi a Cryptolocker 

Il pagamento del riscatto non garantisce però il ripristino della normalità. Le aziende sono bersagliate di continuo e le ultime sofisticate varianti di questi ransomware sono in grado di entrare nella rete e di criptare i dati archiviati nei server in pochi minuti. Ad essere colpite sono le organizzazioni di tutte le dimensioni e spesso quelle più piccole sono usate come teste di ponte per colpire aziende più grandi o quelle in possesso dei dati maggiormente sensibili.

Molto comuni sono gli attacchi che sfruttano tecniche di ingegneria sociale, nei quali i cyber criminali studiano le abitudini delle vittime online per confezionare email-esca più efficaci. In questi casi per i dipendenti aumenta la probabilità di essere tratti in inganno e compromettere così i sistemi. Se da un lato bisogna adottare sempre comportamenti responsabili, verificando bene prima di aprire un allegato ed effettuando regolari backup dei dati, è strategicamente importante mettere sia le persone che i sistemi nelle condizioni di operare in sicurezza, implementando a monte un sistema di protezione efficace.

“Quello che vediamo è che le aziende si informano poco ed utilizzano mezzi spesso non adeguati, rassegnandosi a Cryptolocker, come a un incidente di percorso inevitabile” ha affermato Vanni Galesso, responsabile BU Security di IKS. “In questi casi basterebbe affidarsi a chi ha già gestito situazioni critiche con successo, implementando i giusti rimedi”.

Condividi:
 

Quando la collaborazione migliora i processi decisionali

Quando la collaborazione migliora i processi decisionali
La tecnologia di collaboration non ha prodotto i frutti sperati nell’ottica di miglioramento della posizione competitiva, ma ha velocizzato i processi decisionali.

La nuova ricerca Connected Enterprise Report 2016 pubblicata oggi da Dimension Data (qui in versione integrale) evidenzia come la tecnologia non sia stata in grado di migliorare la competitività delle organizzazioni globali. Il report, frutto di uno studio condotto su 900 partecipanti in 15 Paesi tra direttori IT, CIO e responsabili delle line of business all’interno di aziende con più di 1.000 dipendenti, offre una panoramica sullo stato dell’implementazione delle strategie di collaboration ed evidenzia le tendenze e le discontinuità emerse dal contributo di aziende di tutto il mondo.

Stando a quanto affermato per un quinto delle organizzazioni intervistate, la tecnologia di collaboration non ha prodotto i frutti sperati nell’ottica di miglioramento della posizione competitiva. Tuttavia, l’87% delle aziende sostiene che l’uso di tale tecnologia ha migliorato il lavoro dei team mentre l’88% dichiara che ha velocizzato i processi decisionali.

Joe Manuele, Group Executive di Dimension Data, mette in evidenza come, oltre ad aver migliorato la produttività dei dipendenti ed il lavoro di squadra, la collaboration sia sempre più scelta come strumento per aumentare il fatturato e le vendite. “Circa il 14% (il secondo numero più alto di rispondenti nel rapporto) ha dichiarato che il miglioramento delle vendite è tra gli obiettivi primari delle proprie strategie di collaborazione, mentre un terzo delle organizzazioni sostiene che l’aumento delle vendite rientra tra i primi tre parametri di misurazione del successo dei propri progetti di collaboration”.

Tra gli altri risultati evidenziati dallo studio un quarto delle organizzazioni intervistate ha dichiarato che il successo dei progetti di collaboration viene misurato sulla base del livello di implementazione della tecnologia rispetto alle modalità di utilizzo e al livello di adozione. Inoltre un dipartimento IT su tre sta spostando le unified communication e la collaboration su cloud quale trend tecnologico più importante che impatta sulla propria strategia di collaborazione. Ciò nonostante, attualmente, meno del 25% delle organizzazioni fa affidamento su servizi di collaborazione hosted.

Infine all’interno di un’organizzazione su tre la collaborazione aziendale social viene utilizzata da tutti i dipendenti – o dalla maggior parte – e circa la metà delle aziende intervistate ha dichiarato che prevedono un incremento nell’utilizzo della collaborazione social nel prossimo anno.

Condividi: