WannaCry un anno dopo: cos’è cambiato da quel 12 maggio del 2017?
Check Point Software Technologies ha fatto il punto della situazione a distanza di un anno dall’attacco informatico più spaventoso che fino a quel momento si fosse mai verificato: WannaCry. L’attacco ransomware dello scorso maggio si diffuse velocemente in poche ore in 150 Paesi, infettando più di 200.000 macchine e provocando un danno economico di oltre 4 miliardi di dollari.
WannaCry ha segnato un punto di svolta nel mondo della cybersecurity, perché si trattò del primo attacco informatico multivettore a scala globale basato su tecnologie finanziate dallo stato: il 12 maggio 2017 segna, secondo Check Point, la data d’inizio della quinta generazione degli attacchi informatici. Circa un mese prima dell’attacco WannaCry, un gruppo di hacker chiamato Shadow Brothers aveva fatto trapelare un exploit sviluppato dalla National Security Agency (NSA). Questo codice exploit, chiamato EternalBlue, in seguito sarebbe stato parte integrante dell’attacco WannaCry.
In passato, i criminali informatici usavano abitualmente strumenti superficiali fatti in casa per le loro attività di hacking. WannaCry ha invece segnato il passaggio ad armi di hacking abbastanza potenti da obbligare un’agenzia di cyberdefense a iniziare una guerra informatica internazionale. Sei settimane dopo WannaCry, NotPetya ha utilizzato lo stesso exploit nel suo attacco ai sistemi critici dell’infrastruttura, per lo più ucraini. Mentre il recente attacco ransomware SamSam, che ha bloccato la città di Atlanta, si è basato su DoublePulsar, un altro exploit sviluppato dalla NSA.
Nel 2015 gli attacchi ransomware hanno causato danni per 325 milioni di dollari. Dal 2017 invece si sono registrati danni per 5 miliardi dollari (15 volte di più rispetto al 2015), in quanto le aziende hanno perso produttività a causa del downtime e della conseguente perdita di reputazione. Successivamente WannaCry ha generato centinaia di varianti ransomware. Recorded Future ha dichiarato che prima di WannaCry, alla fine di gennaio 2017, aveva identificato 635 varianti di malware. A febbraio 2018 ha scoperto invece 1105 varianti di malware diverse, con un aumento del 74% rispetto all’anno appena trascorso.
Wannacry è stato in grado di infettare l’intero sistema grazie al “dividi e conquista” poiché necessitava solo di un entry point per diffondersi, come le reti cloud, i server di uffici remoti e gli endpoint di rete. Questo approccio multi-level ha consentito a WannaCry di sopraffare facilmente le aziende che seguivano la strategia di sicurezza ordinaria, ossia quella di scegliere il miglior prodotto di sicurezza, diverso per ogni punto di ingresso.
In altre parole, le aziende spesso scelgono un prodotto specifico per i loro dispositivi mobili, uno diverso per le reti cloud e un ulteriore prodotto per la network security. Non è una strategia irragionevole, di per sé, ma è proprio ciò che vogliono WannaCry e gli altri attacchi Gen V: una difesa disconnessa che non copre all’unisono tutte le componenti dell’infrastruttura.
Affrontare un attacco come WannaCry richiede infatti un sistema avanzato di threat prevention in grado di prevenire in modo proattivo le minacce (invece di rilevarle in modo reattivo una volta che il danno è stato eseguito). Per combattere l’approccio multivettore degli attacchi di Gen V, le aziende devono anche proteggere il proprio cloud e il proprio sistema mobile.
Purtroppo, secondo una recente ricerca di Check Point Software Technologies, solo il 3% delle aziende dichiara di essere pronto ad affrontare un attacco di quinta generazione, mentre il rimanente 97% è indietro di 10 anni rispetto alle minacce attuali ed è vulnerabile ad un attacco tipo WannaCry come lo era esattamente un anno fa.