Un recente sondaggio di The Register ha rivelato che mentre le Big Tech hanno sempre più a cuore questioni come le emissioni di gas serra, i team IT in trincea non sono altrettanto preoccupati della sostenibilità ambientale della loro infrastruttura. Solo il 16,7% dei 2.869 professionisti IT intervistati in tutto il mondo ha infatti considerato la sostenibilità un problema di primaria importanza, mentre solo il 38,7% la considera una priorità.

Questo atteggiamento varia però da regione a regione. Le organizzazioni IT negli USA sono ad esempio quelle che si preoccupano meno della sostenibilità della loro infrastruttura, con meno di un terzo che lo considera una priorità. La sostenibilità è invece più considerata nelle aree EMEA e APAC, a causa probabilmente del fatto che i costi operativi ed energetici sono generalmente più elevati in queste regioni, il che spinge a fare di più con meno.

Non deve quindi stupire se la maggior parte delle aziende che investono nella sostenibilità IT lo facciano nel tentativo di ridurre i costi. Più della metà degli intervistati (53,9%) ha infatti citato la riduzione delle spese operative come motivazione principale, seguita dalla riduzione dell’impatto ambientale e dalla minimizzazione del consumo energetico al secondo e terzo posto. Poco più di un terzo degli intervistati ha invece citato come fattori motivanti i requisiti normativi e il miglioramento della percezione dei clienti.

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Venendo al modo in cui i team IT stanno effettivamente affrontando i problemi di sostenibilità, oltre la metà ha dichiarato di dare priorità a hardware e software ad alta efficienza energetica e di utilizzare la virtualizzazione e altre tecniche di consolidamento dei data center per ridurre il proprio impatto.

Il consolidamento dei rack, attraverso una combinazione di CPU con un numero di core più elevato e tecnologie di virtualizzazione o container, è diventato negli ultimi anni uno dei principali argomenti di discussione tra i produttori di chip. Durante il lancio di Epyc di quarta generazione, AMD si è vantata del fatto che solo cinque sistemi Epyc 4 dual-socket avrebbero potuto prendere il posto di 15 sistemi Ice Lake di Intel. Da allora, i produttori di chip, tra cui Ampere e Intel, hanno fatto dichiarazioni di consolidamento simili, sebbene un hardware più efficiente sia destinato a generare più rifiuti.

Su questo versante il 45,9% degli intervistati ha dichiarato di donare o riutilizzare le apparecchiature obsolete, mentre il 39,8% ha affermato di dare ai sistemi una seconda vita attraverso la ristrutturazione. Tra il 30,2% e il 38,8% ha dichiarato di gestire una qualche forma di programma di riciclaggio o di collaborare con un’azienda di gestione dei rifiuti elettronici.

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Preoccupante è il fatto che circa un quarto degli intervistati ha dichiarato di non avere un piano per la gestione dei rifiuti elettronici, cosa che nel 2024 suona quasi inconcepibile. Tuttavia, un hardware più efficiente è solo un modo per ridurre l’impronta di carbonio dell’infrastruttura. Poco più di un terzo degli intervistati ha infatti dichiarato di attuare politiche di gestione dell’energia e di utilizzare fonti di energia rinnovabili.

A livello di piattaforma, la maggior parte dei fornitori di CPU ha inserito un qualche tipo di sistema di gestione dell’energia nei chip di ultima generazione per contribuire a ridurre l’energia inattiva, anche se i timori per l’instabilità delle applicazioni o la perdita di prestazioni fanno sì che queste funzioni finiscano spesso per essere disattivate.