Android Wear 2.0: ecco perché non salverà gli smartwatch
Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare del destino degli smartwatch, il cui mercato, così promettente un paio di anni fa, non si sta dimostrando all’altezza delle aspettative. Da un lato c’è un po’ di ottimismo grazie soprattutto alle vendite di Apple Watch, che ha dominato il mercato smartwatch nel quarto trimestre 2016, ma dall’altro la fine di Pebble e le difficoltà che sta incontrando Fitbit sono segnali importanti che non lasciano intravedere un futuro molto radioso per questi dispositivi.
Lo stesso Android Wear 2.0, visto da molti come un aggiornamento che avrebbe dato una forte scossa al settore, a nostro parere non lo farà. Certo, si tratta di un deciso passo avanti rispetto alla precedente versione, ma non è abbastanza per far risollevare un settore che, se continuerà a vivere, lo farà grazie soprattutto ad Apple e ai suoi orologi.
Il primo tentativo di Google di sbarcare sul mercato dei wearable è stato quello fallimentare dei Google Glass e bisogna dire che la primissima versione di Android Wear non ha fatto di meglio. Anche in seguito, dovendosi scontrare con watchOS, Tizen e il sistema operativo di Fitbit per i suoi wearable, Google ha sempre faticato a imporsi in questo mercato, lavorando così per diverso tempo ad Android Wear 2.0 con la speranza di migliorare le cose.
Dopo lo slittamento dal 2016 a quest’anno, Android Wear 2.0 è al momento disponibile solo sui nuovi smartwatch di LG Watch Style e Watch Sport (non distribuiti nemmeno in Italia), anche se arriverà nei prossimi mesi su altri modelli nuovi e meno recenti. Oltre alle tempistiche quello che conta veramente è quello che Android Wear 2.0 porta con sé a livello di innovazione. E non è molto.
La novità forse più importante è il nuovo sistema di navigazione, che al posto del classico e scomodo swipe orizzontale e verticale per accedere a menu e alle app, si appoggia ora a una navigazione “circolare” più pratica e immediata o ai comandi vocali tramite Google Assistant, un deciso passo avanti rispetto a Google Now presente nelle precedenti versioni di Android Wear.
Aggiungiamo anche l’integrazione di Android Pay per pagare direttamente dall’orologio, ma si tratta per lo più di un avvicinamento di Google a Tizen (la nuova interfaccia) e a WatchOS (i pagamenti contactless), che non di una vera e propria rivoluzione.
Novità insomma che non faranno fare agli smartwatch Android Wear quel salto di diffusione e popolarità in cui Google sperava. Visto però che l’OS wearable di Google faceva già fatica a stare dietro ai rivali prima dell’arrivo di Android Wear 2.0, gli equilibri del mercato degli smartwatch non dovrebbero cambiare di molto nei prossimi mesi.
Questo perché gli smartwatch, al di fuori di quella nicchia che si stanno conquistando, devono ancora dimostrare come e perché si possano differenziare dagli smartphone e cosa possano offrire in più rispetto a essi. Certo, c’è tutto il discorso legato allo sport e all’attività fisica, ma qui entra in gioco la concorrenza dei fitness tracker (generalmente molto più economici) e gli agonisti difficilmente optano per uno smartwatch Android Wear quando la scelta dei vari Garmin, Polar e Suunto offre prodotti molto più precisi, completi e curati.
Altre nicchie che gli smartwatch potrebbero riempire sono quelle legate alla IoT e alla messaggistica istantanea, quando ad esempio è sconveniente o poco pratico tirare fuori dalla tasca lo smartphone per rispondere a un messaggio e diventa molto più comodo farlo dal polso.
Certo, nell’ultimo trimestre del 2016, dopo un Q3 a dir poco disastroso, le vendite di smartwatch sono cresciute e negli ultimi mesi il mercato si è un po’ ripreso, pur rimanendo lontano da quelle che erano le aspettative e le stime di alcuni anni fa. Senza poi contare che quelle degli smartwatch rimangono cifre molto piccole all’interno dell’intero mercato mobile e Android Wear 2.0, per quanto migliore delle versioni precedenti, non avrà la forza per cambiare questa rotta.