IA e legge: un’intelligenza artificiale non può essere l’inventore di un brevetto
Nei giorni scorsi la Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che un sistema di IA non può essere considerato il titolare ufficiale di un brevetto, mettendo così in evidenza le tante questioni legali ancora aperte nel fiorente campo dell’IA generativa.
La sentenza, stabilita nella causa Thaler contro Comptroller-General of Patents, Designs and Trade Marks, non riguarda tanto la questione più ampia del fatto che i progressi tecnici generati da macchine che agiscono autonomamente e alimentate dall’IA debbano o non debbano essere brevettabili, ma si è concentrata soprattutto sulla possibilità per l’ufficio brevetti di concedere un brevetto a un sistema di IA di per sé. In questo specifico caso l’IA era DABUS (Device for Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience) sviluppata da Stephen Thaler, presidente e CEO di Imagination Engines.
Si conclude così un iter giudiziario cominciato quattro anni fa, quando l’ufficio brevetti britannico aveva già respinto la richiesta di Thaler con le stesse motivazioni; la decisione era stata confermata anche dall’Alta Corte e dalla Corte d’Appello nel 2020 e 2021 e, sempre nel 2020, Thaler aveva perso in appello anche contro l’ufficio brevetti statunitense, secondo il quale un’invenzione può essere brevettata solo dalle persone.
La decisione della corte dei giorni scorsi si basa su tre questioni. La prima riguarda il significato del termine “inventore” applicato alla legge sui brevetti del Regno Unito del 1977, che secondo il tribunale riguarda unicamente una “persona fisica” e non contiene alcun riferimento alla possibilità che l’inventore possa essere una macchina. La seconda questione riguarda il diritto di Thaler di presentare domande di brevetto sulla base della sua proprietà di DABUS, che è stata respinta per gli stessi motivi: DABUS non può essere considerato “un inventore” secondo la legge britannica.
Infine, il tribunale britannico ha ritenuta valida la decisione del Comptroller di ritirare le domande di Thaler perché questi non aveva identificato nessuno come inventore delle invenzioni; anche in questo caso, la sentenza è stata confermata in quanto la legge britannica non considera DABUS una persona.
La sentenza però ha aqnche sottolineato che se Thaler avesse affrontato la questione in modo diverso, definendosi ad esempio lui stesso l’inventore dei brevetti in questione e descrivendo l’IA come “uno strumento altamente sofisticato” che lo ha aiutato nel processo di creazione del brevetto, l’esito sarebbe stato diverso. Nel corso della causa invece, Thaler, è stato rigoroso nell’affermare che DABUS, e non lui, è stato l’inventore del brevetto e che la sua IA “è un essere senziente”.
C’è infine da sottolineare che la sentenza è perfettamente in linea con la giurisprudenza di altri paesi occidentali. Come già accennato, lo US Copyright Office ha dichiarato che la paternità umana è necessaria per l’esistenza del copyright su un’opera e non sono in corso azioni legislative o normative per cambiare questo stato di cose. La legge sul copyright dell’UE, allo stesso modo, richiede una “guida umana” per poter rivendicare il diritto d’autore su un’opera.