Tecnologie alleate del benessere dei lavoratori: siamo nella caring economy
Il 2020 è stato l’anno della pandemia e dello smart working. Ritmi e modalità di lavoro sono stati completamente stravolti, costringendo persone e aziende a inventarsi nuove modalità di lavorare, ma anche di comunicare e distribuire informazioni. Se da un lato questo ha dato una spinta alla digitalizzazione, dall’altro è emersa una nuova attenzione al benessere fisico e mentale dei lavoratori. Di cui le aziende possono prendersi cura attraverso i dati, l’analisi predittiva e tecnologie emergenti come intelligenza artificiale e machine learning.
Siamo di fronte alla “caring economy”, che fa uso delle tecnologie per mette le persone al centro, comprendere e anticipare i bisogni di informazione e comunicazione, anche in ambito aziendale.
Come utilizzare concretamente le tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning per facilitare il lavoro e prendersi cura del personale? Ne abbiamo parlato con Luisella Giani, Industry Strategy Director per l’area EMEA di Oracle ed esperta di intelligenza artificiale.
“Come è emerso dalla ricerca AI@work, per il 78% degli intervistati il 2020 è stato l’anno più stressante in assoluto dal punto di vista professionale”, afferma Luisella Giani. “Il grande tema del momento è il lavoro da remoto vs il lavoro in ufficio, un trend che si è imposto quest’anno e che affronteremo anche negli anni a venire. L’obiettivo è arrivare al bilanciamento tra lavoro da remoto e in ufficio, quando sarà possibile”.
Persone e aziende si stanno adattando alla nuova normalità
I dati confermano che persone e imprese si stanno adattando a questa nuova normalità, una tendenza partita da aziende tecnologiche, come Oracle, e che si via via è estesa anche alle aziende più tradizionali.
“Una ricerca di Confindustria, pubblicata nei mesi scorsi, riportava che l’83% delle persone, a fine pandemia, vorrebbe poter scegliere come e dove lavorare”, prosegue Giani. “E’ una presa di coscienza che in futuro si potranno scegliere le modalità lavorative. Molte aziende si stanno già muovendo in questa direzione, perché hanno capito che le persone possono essere produttive anche da remoto”. D’altro canto, da parte dei lavoratori c’è una nuova percezione dello smart working e della possibilità di dare un contributo all’azienda anche se non presenti fisicamente in ufficio.
“Se il lavoro da casa è stato inizialmente imposto dall’emergenza e tutti ne abbiamo risentito, nel tempo è emersa la consapevolezza che si può lavorare in modo diverso, ma altrettanto efficace, bilanciando meglio le esigenze personali e quelle professionali. Il punto cardine è che adesso abbiamo la possibilità di scegliere”.
Intelligenza artificiale e machine learning per la cura della persona
Questo è un nuovo punto di partenza. Da parte delle aziende e dei lavoratori c’è un accordo sull’obiettivo da raggiungere, sfruttando modalità diverse dal passato e investendo sulle tecnologie, in primis nell’ambito del machine learning e dell’intelligenza artificiale.
Luisella Giani indica tre aree principali in cui possono muoversi le aziende: personalizzazione, self-service ed empatia digitale.
Personalizzazione: prendersi cura dei propri collaboratori
“Grazie ai dati si può avere una conoscenza molto più accurata delle necessità delle persone che lavorano nella propria azienda. È il concetto di costumer experience riletto in chiave di employee experience”. Utilizzando i dati in ottica predittiva è possibile conoscere a tutto tondo gli interessi di una persona, sia di carattere professionale che personale, e anticipare le sue esigenze in termini di worklife balance. “Questa è l’economia del ‘prendersi cura’: cerco di capire in anticipo quello di cui puoi aver bisogno”.
Una strategia che si può applicare allo smart working. Se l’azienda ha delle informazioni su una persona, per esempio che ha necessità di entrare al lavoro alle 9.30 perché deve portare i figli a scuola, può proporre e concordare un orario flessibile. “Questo vale anche per gli interessi personali. Per esempio, se una persona si sta allenando per correre la maratona di New York, l’azienda può supportarla e facilitare la sua partecipazione all’evento, magari come forma di premio. E lo stesso concetto si applica ad altri interessi personali, come il volontariato”.
L’analisi predittiva, ovvero partire dai dati per fare previsioni, è una applicazione consolidata del machine learning. La novità sta nel raccogliere, analizzare e usare i dati “per prendersi cura delle persone in modo molto più predittivo rispetto al passato”, una evoluzione che Gartner ha definito Internet of Behavior e ha inserito tra i trend tecnologici del 2021. “Possiamo pensare al fatto di voler bene a qualcuno – se ti voglio bene conosco i tuoi interessi – e applicarlo in ambito aziendale”.
Self-service: un servizio a supporto dei lavoratori
Un’altra applicazione di AI e ML il cui uso è stato molta accelerato quest’anno è il self-service. “Spesso pensiamo al self-service come uno strumento per il costumer care o per risolvere un problema specifico. Adesso il concetto si è evoluto e un servizio come un chatbot può servire per risolvere qualcosa, ma anche per avere informazioni. Quest’anno le aziende hanno avuto una fortissima necessità di strumenti molto semplici per fornire informazioni e rispondere a domande relative alla pandemia, per esempio se era possibile tornare in ufficio, in quali orari, a quali regole attenersi”.
“Negli ultimi mesi abbiamo visto un’applicazione molto estensiva di chatbot e voicebot. Tutto l’ambito degli assistenti digitali ha avuto una crescita esponenziale e un esempio italiano è il caso del Gruppo Mondadori”.
Il Gruppo Mondadori ha un’attività molto diversificata, che spazia dall’editoria a una catena di librerie all’organizzazione di mostre d’arte, e impiega circa duemila persone in Italia. Per rispondere alle esigenze dei propri collaboratori, tenendo conto anche delle diverse generazioni coinvolte, la società si è rivolta a Oracle per creare una piattaforma a uso interno alla quale tutti potessero accedere e trovare con semplicità le informazioni e i servizi di cui avevano bisogno. Il sistema, basato sulla suite Oracle HCM Cloud e lanciato un paio di anni fa, si è rivelato un prezioso strumento nell’improvviso passaggio al lavoro da casa imposto dall’emergenza coronavirus.
“A marzo 2020, durante la prima ondata della pandemia, il Gruppo Mondadori ha deciso di lanciare un digital assistant per rispondere alle domande di chi lavorava da remoto, sia nell’editoria che negli altri rami aziendali”. La società ha dichiarato che i risultati sono stati ottimi e, nei primi tre mesi dal lancio, “ha registrato circa 35mila eventi, cioè interazioni o conversazioni, con l’assistente digitale”. I lavoratori hanno posto domande su come gestire il lavoro durante la pandemia, i permessi e i giorni di ferie, ovvero le richieste che tipicamente vengono fatte all’ufficio Risorse Umane.
“Il success rating, cioè la capacità di rispondere alle domande, è stato del 92%. Questo significa che c’è stata un’ottima progettazione nel predire le domande che le persone avrebbero posto e mettere l’assistente in grado di rispondere. L’interfaccia era semplice da usare e ha permesso all’azienda di mantenere la comunicazione in un momento così difficile”.
Empatia digitale: anticipare desideri e necessità
Il terzo asse su cui le aziende devono muoversi per “prendersi cura” dei propri dipendenti è quello dell’empatia digitale. È un concetto che richiama la capacità di capire i desideri e le necessità di una persona e come aiutarla, il tutto in chiave digitale, ovvero sfruttando i dati per conoscerla meglio.
Luisella Giani suggerisce un esempio di “empatia digitale” facendo riferimento a un portale interno HR per i dipendenti. Se una persona fa una ricerca e come risposta ottiene moltissimi risultati tra i quali deve cercare ciò che le serve, può sentirsi frustrata di fronte all’overload di informazioni. Al contrario, se il sistema sfrutta i dati (aziendali) che ha su quella persona può fornire risultati più allineati con i suoi interessi. “Questa è una forma di empatia digitale perché semplifica la ricerca e facilita la vita della persona, senza farle perdere tempo”.
Lo stesso concetto si può applicare a un portale che offre corsi di formazione self-service, una opportunità che molte aziende offrono ai loro dipendenti. “Se viene offerto un percorso ottimizzato per l’utente, a partire dalla conoscenza dei dati, è più probabile che trovi una risposta soddisfacente alla sua richiesta”.
Da qui si può passare a concetti più sofisticati, per esempio una dashboard a cui il dipendente può accedere e trovare tutte le informazioni che lo riguardano.
“Sono esempi che evidenziano come l’azienda possa mettere la persona al centro e anticipare le sue necessità, personali e professionali, attraverso le tecnologie”.
Quanto ci fidiamo della tecnologia?
Se persiste una forma di sfiducia e pregiudizio nei confronti di tecnologie come intelligenza artificiale e machine learning, è anche vero che qualcosa sta cambiando. La ricerca AI@Work, condotta da Oracle in collaborazione con Workplace Intelligence, fotografa il cambiamento che è avvenuto negli ultimi due anni. Il 75% delle persone intervistate ha dichiarato di aver ricevuto aiuto dall’AI in ambito lavorativo, in particolare per la ricerca di informazioni utili per il proprio lavoro, l’automatizzare di alcune attività, la riduzione dello stress.
In Italia l’83% degli intervistati vorrebbe che la propria azienda fornisse soluzioni di intelligenza artificiale per ottenere risposte e informazioni rapide (63%), automatizzare le attività di amministrazione (59%) e consigliare nuove competenze da acquisire (50%).
Inoltre, il 68% preferirebbe parlare di stress e ansia sul lavoro con un robot piuttosto che con il proprio manager. “E’ un dato molto provocatorio, ma non è così difficile da spiegare: un chatbot è sempre disponibile, non ha pregiudizi e non giudica la persona”.
Non è poi così sorprendente se “ripensiamo a ELIZA, il primo chatbot della storia”. Creato tra il 1964 e il 1966, il progetto di ricerca ELIZA è stato sviluppato per rispondere alle domande di persone con problemi di stress e di ansia. “Quello che è emerso è che le persone avevano una forte necessità di essere ascoltate, non di ricevere consigli o avere una interlocuzione”.
“Oggi quindi c’è più fiducia nelle nuove tecnologie e si può andare ancora oltre attraverso l’educazione e la formazione, partendo dal capire quello che può fare il digital assistant e quello che può fare la persona”. Se pensiamo a un futuro in cui lo smart working è lo standard lavorativo, ogni dipendente dovrà comunicare all’azienda i giorni in cui è presente in ufficio, mettersi d’accordo con i colleghi per organizzare meeting in presenza, e quindi prenotare una sala riunione, o da remoto. La gestione di queste attività può essere affidata a un chabot, liberando i lavoratori da queste incombenze.
E questo, conclude Luisella Giani, “è anche un modo per valorizzare le attività intellettuali e creative che possono fare il manager o il dipendente rispetto a un sistema automatico”.