IoT e Automotive: c’è abbastanza sicurezza?

IoT e Automotive: c’è abbastanza sicurezza?
L’ambito di applicazione forse più interessante della IoT è quello dell’automotive, da sempre all’avanguardia rispetto ad altri mercati.

Con la diffusione della Internet of Things gli operatori di telecomunicazioni e i vendor hanno oggi la possibilità di acquisire clienti in un numero di mercati verticali fino ad oggi inaccessibili. Come tutte le recenti espansioni in ambito tecnologico, anche in questo caso il tema della sicurezza è sempre più presente nel dibattito generale, soprattutto quando si tratta di applicarla a un settore come quello automobilistico.

Quando si parla di IoT infatti, quello dell’automotive è un settore più all’avanguardia rispetto ad altri mercati ed è, al tempo stesso, anche quello in cui un tema come la sicurezza riveste un ruolo determinante se pensiamo non solo al numero di vite in gioco, ma anche alla sicurezza intesa come violazione da remoto dei sistemi informatici a bordo di un auto. Automobili che si parcheggiano da sole e riconoscono la segnaletica stradale sono realtà già attuali che rappresentano solo l’inizio della rivoluzione.

Secondo Interoute, operatore proprietario del più grande network e piattaforma di servizi cloud in Europa, le tecnologie vehicle-to-vehicle (V2V) e vehicle-to-infrastructure (V2I) e la navigazione connessa permetteranno di avvisare i veicoli in avvicinamento a un incidente per rallentare, consentiranno alle automobili di pagare i parcheggi in autonomia e offriranno ai guidatori un modo nuovo di vivere le città. Quella dell’IoT non è, quindi, soltanto una fantasia, ma un futuro prossimo, nonostante tutte e difficoltà e le implicazioni che questo comporterà.

Se ci fidiamo di un veicolo senza pilota che ci accompagna nei nostri spostamenti, vuol dire che il termine sicurezza è diventato molto più che un semplice tema di discussione, ma una vera e propria priorità per il bene degli utenti e delle aziende tecnologiche. Recentemente, il sistema elettrico di Jeep è stato hackerato durante la guida, aggiungendosi alla lunga di violazioni di sicurezza e riportando il dibattito al centro della questione.

Più o meno contemporaneamente, per quanto le due storie non siano collegate, Giesecke & Devrient e IBM hanno annunciato di aver avviato una collaborazione, con l’obiettivo di realizzare una nuova soluzione in termini di sicurezza del veicolo e rendere più difficile possibili violazioni in futuro.

Eventi come la violazione del sistema Jeep e l’annuncio di Giesecke &Devrient con IBM possono rappresentare un potenziale vantaggio sia per gli operatori di rete, sia per i fornitori di servizi

Con l’implementazione di soluzioni di SDN/NFV nel campo del networking, nonché la continua evoluzione dell’IoT, il confine tra i mercati enterprise e telco diventa sempre più labile. Eventi come la violazione del sistema Jeep e l’annuncio di Giesecke &Devrient con IBM possono rappresentare un potenziale vantaggio sia per gli operatori di rete, sia per i fornitori di servizi.

Questi ultimi hanno la competenza giusta per aiutare le grandi imprese (se non addirittura interi settori) a capire come queste soluzioni per la sicurezza possano essere sviluppate. Allo stesso modo, mentre i solution vendor lavorano intensamente nel settore verticale delle telecomunicazioni, i system integrator con una forte conoscenza del settore possono aggiungere un valore straordinario e favorire la messa in pratica di reti IoT estremamente sensibili.

Nel futuro si prevede un dibattito sempre più acceso sulla sicurezza nel campo dell’IoT, non soltanto legato al settore automotive. Inoltre, diverse nuove soluzioni saranno portate sul mercato, per aiutare le grandi aziende che non fanno parte dell’industria delle telecomunicazioni a proteggere la loro offerta.

Concludendo, l’Internet delle Cose permetterà quindi di rilanciare la competitività delle aziende, aiuterà gli utenti in tutta una serie di mansioni, ma produrrà problemi che dovranno essere necessariamente risolti per il bene comune e per garantire la reale applicabilità dell’evoluzione tecnologica.

Condividi:
 

Ecco come è fatto Facebook Reactions, il “Mi piace” con sei sfumature emotive

Ecco come è fatto Facebook Reactions, il “Mi piace” con sei sfumature emotive
In Irlanda e Spagna gli utenti Facebook potranno usare al posto del "Mi piace" icone che rappresentano amore, risate, felicità, stupore, tristezza e rabbia. A quando in Italia?

Non si tratta di un pulsante “Non mi piace”, come era stato inizialmente ventilato, ma Facebook sta sperimentando una serie di “reazioni emotive” che potranno essere comunicate attraverso il pulsante Like. Gli utenti in Irlanda e Spagna stanno già sperimentando un set di faccine (emoji) chiamato Reactions, inserite all’interno dell’iconico bottone col pollice alzato.

Invece del utilizzare il solo Like, gli utenti potranno esprimere amore, risate, felicità, stupore, tristezza e rabbia. Chi preferisce non scendere in questi dettagli, potrà continuare a usare il pulsante Mi piace come al solito, e sarà comunque la scelta predefinita.

Non è ancora chiaro se Facebook introdurrà Reactions in altri paesi, ma anche se non sarà nella forma sperimentata in Spagna e Irlanda, è molto probabile che qualche cambiamento simile avrà luogo prima o poi.

facebook-reactions-big

Nell’immagine fornita da Facebook, ecco le cinque icone che sarà possibile usare al posto del semplice pollice alzato del Like.

Da molto tempo gli utenti chiedono l’introduzione di un tasto “Non mi piace”, da usare in quelle situazioni in cui si vuole comunicare vicinanza al tema di un post ma non si vuole dire che di apprezzare il contenuto del suo messaggio. Nel 2010 circiolò pure un malware che tentò di sfruttare questo desiderio per secondi fini.

È capitato a tutti. Un amico pubblica un toccante aggiornamento che annuncia la morte di una persona cara. Il primo impulso è di premere “Like” per esprimere solidarietà, ma ci si ferma nel momento in cui si realizza che dire “Mi piace” non è decisamente appropriato in questo caso.

Malgrado ciò, Facebook aveva finora resistito alla tentazione di inserire un pulsante “Non mi piace”. In dicembre, l’azienda aveva annunciato invece di voler testare alcune alternative che avrebbero consentito di esprimere una gamma di emozioni più vasta. A settembre, il CEO Mark Zuckerberg annunciò che Facebook stave lavorando a un sistema per permettere agli utenti di esprimere empatia.

è ingenuo pensare che Facebook introdurrà Reactions solo per compiacere gli utenti: l’obiettivo è la sentiment analysis sui social

Pensare che Facebook introdurrà questa modifica per accontentare gli utenti sarebbe però decisamente ingenuo. Un grosso filone del social media marketing consiste nell’interpretazione della reazione emotiva a un post (analisi del “sentiment”), che al momento prevede l’utilizzo di complessi algoritmi di interpretazione semantica del testo che purtroppo – come accade ogni volta in cui si cerca di insegnare a un computer a comprendere il linguaggio umano naturale – spesso prendono sonore cantonate.

Poter offrire ai propri clienti un sistema certo per valutare la reazione emotiva sui social network verso un marchio o un prodotto potrebbe rappresentare un bel servizio in più per i clienti pubblicitari di Facebook.

Condividi: